Un dolce tesoro di laguna: il miele di barena

Fioritura di Limonio (foto Parco del Delta del Po)

Fabio Fiori nel suo Abbecedario Adriatico si sofferma sulla provvisorietà della laguna, uno spazio incerto e mutevole nel quale nulla è definitivo. Risorsa preziosa e al tempo stesso luogo infido, la laguna adriatica è un paesaggio affascinante fatto dal susseguirsi di isole, canali, foci di fiumi, spiagge e barene, accumuli di terra che emergono poche spanne dal pelo dell’acqua. Periodicamente sommerse dalle acque salmastre, le barene sono caratteristiche delle lagune di Marano, di Grado, di Venezia, delle Valli di Comacchio e curiosamente dell’isola di Tavolara, in Sardegna.   

Le barene, dal veneto “baro” (terreno incolto) e dal gallico “barros” (cespugli o ciuffi d’erbe palustri), secondo lo scrittore Riccardo Bacchelli sono fatte della stessa “terra fracida e torbosa” dei canneti: luoghi sterili e inospitali, depositi di argilla e sabbia inadatti alla coltivazione.  

In realtà le barene sono fondamentali per la salute dell’ecosistema lagunare: barriere naturali contro l’aggressività del moto ondoso, provvidenziale rifugio per numerose specie di uccelli marini e vere e proprie oasi botaniche. Ed è proprio da quest’ultima peculiarità che nasce un prodotto a molti sconosciuto, ma decisamente imperdibile: il miele di barena.

Nei suoli asfittici, pesanti e salsi delle barene veneziane, prospera una vegetazione alofila, ovvero amante del sale: ne fanno parte il Giunco e il Finocchio marino, la Canna di palude, il Santonico, la Salicornia e il Limonio, una pianticella quest’ultima alta circa mezzo metro e che, da giugno a settembre, trasforma le barene in meravigliose macchie violacee. Le api, attratte dal nettare del Limonium, localmente chiamato “fiorella o fioreta de barena”, dopo averne fatto ampie scorte lo trasformano in un miele giallognolo, opaco, piuttosto denso e facile a cristallizzarsi, ricco di minerali ed enzimi.  Talmente pregiato da essere inserito nell’Arca del Gusto di Slow Food, annoverato fra i Prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) del Veneto assieme ai mieli dei Colli Euganei, del Grappa, del Delta del Po, del Montello, del Veronese e dell’Altopiano di Asiago, il miele di barena viene prodotto almeno a partire dall’Ottocento. Oggi è una tipicità dei territori di Campagna Lupia, Mira, Chioggia, Venezia, Cavallino-Treporti e Jesolo.

Apprezzato per le proprietà balsamiche e reputato benefico per le vie respiratorie, il miele di barena deve la propria unicità all’ambiente lagunare dal quale trae note saline, vegetali e amarognole che ricordano altri mieli leggendari come quello di spiaggia del litorale toscano o di corbezzolo sardo.

Gustato sul pane a colazione, utilizzato come dolcificante, abbinato ai formaggi freschi, al cioccolato ai crostacei, protagonista di elaborate ricette fra le quali l’anatra laccata, il miele di barena è una rarità dalla quale nascono torroni e gelati indimenticabili.

Una curiosità: a Dolo, comune a ridosso dalla laguna di Venezia, visse per alcuni anni   František Hruška (1819-1888), ufficiale dell’esercito austroungarico di origini boeme. Appassionato apicultore, proprietario di centinaia di arnie, dopo diversi esperimenti Hruška realizzò uno strumento utilizzato ancora oggi, lo smielatore centrifugo, con il quale è possibile estrarre meccanicamente il miele dai favi senza doverli distruggere ogni volta.

A questo eclettico personaggio, in segno di gratitudine, vengono tuttora dedicate diverse iniziative utili a conoscere più da vicino il mondo delle api e della natura. Un universo affascinante, essenziale per il benessere di tutti gli esseri viventi, eppure gravemente minacciato dal cambiamento climatico e dallo scarso rispetto dell’uomo nei confronti dell’ambiente. Situazioni dinanzi alle quali gli apicultori, per non soccombere, devono reagire con la stessa ostinazione di chi, anno dopo anno, posiziona le proprie arnie a ridosso quei fazzoletti di terra semisommersi dalle acque salmastre, esposti alla volubilità dei venti e delle maree, ma ricchi di essenze botaniche uniche.

Del resto, coloro che scelgono di dedicarsi all’apicoltura, di buona volontà e audacia ne hanno da vendere; come recita un proverbio africano: “Chi vuole il miele deve avere il coraggio di affrontare le api”. E non solo, aggiungo io.

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