Testa da marsón! I pesci d’acqua dolce nella tradizione della Marca Trevigiana: la carpa

La carpa
La carpa

Primavera: un refolo di vento increspa la superficie del lago sul quale regna una calma rassicurante. D’improvviso un bestione con i riflessi del bronzo e dell’oro salta fuori dall’acqua per ricadervi fragorosamente l’istante successivo. Della sua presenza restano solo dei cerchi concentrici che si allargano lentamente sino a scomparire.

Il perché le carpe si esibiscano in queste prodezze non è del tutto chiaro: uno stato di eccitazione per l’arrivo di un temporale, l’inizio di una migrazione alla ricerca di cibo, il tentativo di scrollarsi di dosso i parassiti o più semplicemente un modo per salutare il nuovo giorno e ribadire la loro natura di animali liberi e selvaggi.

Introdotta in Italia in età romana o in epoca medievale per scopi alimentari, la carpa (Cyprus carpio) proviene dall’Europa orientale e dal continente asiatico. Appartenente alla famiglia dei Ciprinidi se ne contano diverse razze.

Allo stato selvatico vive la carpa comune riconoscibile per le scaglie bruno verdastre, talora argentate e il ventre bianco. Fra gli esemplari più comunemente allevati vi sono la carpa a specchi o carpa regina (poche e grandi scaglie con riflessi metallici) e la carpa nuda o carpa cuoio (bruno giallastra e priva di scaglie).

Le variopinte carpe Koi, giapponesi, sempre più diffuse fra gli appassionati, vengono allevate a soli fini ornamentali. Animale piuttosto longevo, la carpa vive mediamente una ventina d’anni. A seconda delle condizioni di vita e dell’habitat può superare il metro di lunghezza e pesare, eccezionalmente, fino a quarantacinque chili.

La carpa è molto adattabile alla qualità dell’acqua riuscendo a sopravvivere anche in ambienti salmastri. Minacciata in giovane età da predatori come il luccio o gli uccelli acquatici, da adulta non ha praticamente nemici se non le malattie parassitarie e l’uomo.

Di indole gregaria in giovane età, la carpa adulta diviene solitaria, territoriale e abitudinaria tanto da spostarsi seguendo sempre lo stesso percorso. Predilige la notte e nelle ore di luce pascola pigramente sul fondo sollevando bolle d’aria che rivelano la sua presenza. Il cibo è costituito da vermi, piccoli crostacei, insetti e occasionalmente alghe e piante acquatiche.

Nella Marca Trevigiana la raìna (o gobbo per gli esemplari più giovani) è la regina di stagni, specchi lacustri e placide anse fluviali ricche di alghe con fondo melmoso. Tradizionalmente si catturava con reti e bertovelli. Nei laghi di Revine, fino agli anni Settanta, erano utilizzati la crìola o crìvoa e il rochelin. Il primo attrezzo è un disco fatto di rami intrecciati dal quale si dipartono lenze lunghe anche cento o duecento metri provviste di ami innescati con vermi, chicchi di mais o polenta. Il rochelin si differenzia perché le lenze sono fissate a rami prossimi alle sponde.

Le carni della carpa risentono molto dell’ambiente in cui è vissuto il pesce. Spesso è percettibile uno sgradevole sentore di fango (palta) che si elimina lasciando la carpa in purga in acque pulite o trattandola con vino, aceto, cipolla, chiodi di garofano e cannella. Il bellissimo volumetto “Tradizioni e storie di pesca nel Trevigiano” riporta l’uso di accomodare la carpa con il Clinto nella destra Piave e con il Raboso nella sinistra. Altri ricettari trevigiani suggeriscono di cucinare la carpa con erbe aromatiche, grappa e acciughe. Gli esemplari più piccoli si friggevano insieme ad altra minutaglia con l’aggiunta di salvia e alloro. 

Due curiosità: le uova della carpa sono commestibili e talmente apprezzate da essere state ribattezzate “caviale del lago Trasimeno”; l’usanza di conservare i fletti fritti sotto aceto, alloro e cipolla ha dato il nome a una ricetta oggi estesa a numerosi pesci e addirittura a carni, verdure e uova: il carpione.  

(Foto: Pesca Spinning).
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