Buongiorno e benvenuti, io sono Pierantonio Polloni www.dottorpolloni.it e questa è psicologia pratica una rubrica che riflette sul proprio benessere personale e la realtà quotidiana. L’argomento di oggi è: Perchè continuiamo a fare cose che non vogliamo?
Ciò che ognuno di noi può vedere negli altri è come le altre persone si comportano, oppure come agiscono nella realtà. Oggi desidero portarvi a vedere come le persone, secondo il mio modello, sono strutturate, cioè esporvi una una teoria della personalità, che è anche una teoria dello sviluppo della personalità, perché descrive, ipotizza, teorizza come la persona è arrivata a strutturarsi in questo modo e perché a volte mette in atto degli schemi che sono disfunzionali, che sono sabotanti, oppure dolorosi.
Quest’ultima è anche una teoria della psicopatologia, dato che spiega come mai continuiamo a fare qualcosa, magari sapendo già che andrà a nuocerci. È anche una teoria della comunicazione, perché ci descrive come le persone si incastrano e si relazionano tra di loro.
La cosa più importante, l’assunto filosofico di base da cui è necessario partire è questo: Ognuno è ok, mia mamma è ok, mio babbo è ok, mio marito è ok, indipendentemente. Che cosa significa? Significa che ognuno di noi, per il fatto di essere umano, per il fatto di essere una persona, nasce con un valore intrinseco. Io sono ok e dunque anche tu sei ok. La nostra relazione è composta di due parti uguali: Io, con le mie emozioni e i miei bisogni, e te. Nessuno è superiore all’altro. Possiamo avere valori diversi, età diverse e possiamo ottenere risultati diversi, però io sono ok e tu sei ok. Io ho le mie caratteristiche ed accetto te in quanto te stesso, sebbene posso non accettare ciò che tu fai.
Accettare l’altro è diverso da accettare ciò che l’altro fa e questo, nel linguaggio di tutti i giorni, lo confondiamo continuamente. Faccio un esempio: una figlia torna da scuola con un brutto voto. Il genitore subito si arrabbia e le dice che così non va bene, che è una ragazza che non impegna per nulla rispetto alle sue amiche e che così è una vergogna. Quel genitore pone l’attenzione su ciò che nella figlia non va, mentre il focus della situazione riguarda il non aver studiato a sufficienza non nell’essere non ok per il brutto voto. Spesso, troppo spesso, giovani, adulti, anziani, continuamente, si relazionano con altre persone contestando quello che gli altri sono anziché ciò che essi fanno o non fanno.
Ci sono nonni che fungono quasi da genitori peri propri nipoti, mentre ce ne sono altri che i nipoti non li vedono mai. Dunque i primi sono nonni ok mentre i secondi sono nonni non ok? No di certo. I primi si sbattono, i secondi invece no, e per questo non diventano delle brutte persone non vi pare? Quante volte vi è capitato di accusarvi, rimproverarvi, incolparvi e magari prendervi a parolacce per un errore che era totalmente evitabile? Anche in quei casi, noi ce la stiamo prendendo con noi stessi anziché prendercela con quello che abbiamo fatto o non fatto. Se sbaglio non significa che non sono più ok, significa semplicemente che ho fatto qualcosa di sbagliato,sono due considerazioni totalmente diverse. Se compio errori sono umano ed in quanto essere umano, posso essere amato anche se faccio delle cose sbagliate. Quello che sto cercando di farvi capire è che ognuno è ben più di ciò che fa, altrimenti rischiamo di usare il metro commerciale della tecnica, che valuta le persone solo dai risultati.
Tutte le persone all’origine hanno una tendenza all’autorealizzazione, alla crescita personale alla felicità e poi accadono cose, si fanno scelte, si prendono decisioni e ci si trova, senza rendersene conto, a ripetere e ripetere schemi. Nella mia visione del funzionamento umano, le persone vivono ripetendo schemi di tanto tempo fa, frutto di decisioni di un passato dimenticato, che allora funzionavano ma adesso non più.
Ecco perché molte persone dicono che pensano in un modo e poi agiscono in un altro oppure, pur desiderando tantissimo avere una persona accanto od un cambiamento, finiscono per ritrovarsi sempre nelle medesime situazioni sentimentali o lavorative. Immaginate questa situazione: due genitori vivono lontano dalle zone di origine, non hanno accanto alcun nonno parente a cui affidarsi, lavorano entrambi e nasce una figlia. Sono felicissimi, tuttavia passa qualche anno e sono sempre più stanchi. A quel punto la piccola potrebbe essersi accorta che un modo per attirare l’attenzione di mamma e papà è stare male poiché in quelle occasioni mamma è più premurosa, è sempre accanto a lei e se ne prende cura. Ecco che a quel punto, la piccolina, potrebbe aver deciso che quella era una strategia per sentirsi accolta, coccolata ed amata.
Voglio ricordare che quando siamo molto piccoli, avere o non avere l’attenzione di mamma, papà o di altre figure di riferimento, essere amato o non amato è vita o morte, perché il bambino è completamente dipendente dai genitori, sia fisicamente che psicologicamente per tutti i primi anni di vita. In psicologia si dice che prendiamo le decisioni esistenziali importanti entro i sei anni di età ma poi da adulti possiamo immaginarci con alle spalle una decisione simile? Vi immaginate una persona che sta male per avere l’attenzione o l’amore di altri? Altre persone che per essere viste hanno bisogno di un sintomo, mangiano oltremodo oppure recitano il copione della vittima. Ci sono situazioni di bimbi che imparano molto presto che per avere il riconoscimento di un genitore deve prendere voti da dieci. Non bastano voti buoni, per essere riconosciuto serve dare il massimo, eccellere oltre tutti, non mollare mai. Altri potrebbero aver imparato che avere attenzioni ed amore significa guadagnarselo, fare fatica, non si può mai dire di no, lasciare il piacere a fronte del dovere. Quante volte magari vi è capitato di sentire il bisogno di riposo, mentre dentro un spinta vi ha portato a stremarvi! Bene anche per oggi è tutto, spero aver solleticato in voi una riflessione vi saluto e ci vediamo nella prossima puntata.
(Autore: Dottor Pierantonio Polloni psicologo corporeo).
(Foto e video: Dottor Pierantonio Polloni psicologo corporeo).
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