“Ma Nino non aver paura/di sbagliare un calcio di rigore/Non è mica da questi particolari/che si giudica un giocatore/Un giocatore lo vedi dal coraggio/dall’altruismo e dalla fantasia” cantava Francesco De Gregori nella sua celeberrima “Leva calcistica della classe ’68”.
Figurarsi poi se anziché Nino l’atleta in questione si chiamasse Roberto Baggio e fosse, con ogni probabilità, uno dei più grandi calciatori italiani di sempre.
E’ proprio grazie alla classe cristallina del campione di Caldogno (Vicenza) e alle mille emozioni regalate ai tifosi della nazionale e dei club per i quali ha giocato che anche un errore “pesantissimo” come quello di 30 anni esatti fa – il rigore sbagliato contro il Brasile che decise la finale del Mondiale di calcio 1994 – viene oggi ricordato senza particolare rancore, al netto di un titolo iridato “posticipato”, visto che sarebbe arrivato, per ironia della sorte ai rigori, otto anni dopo, contro la Francia a Berlino.
E’ il 17 luglio 1994 e al gigantesco Rose Bowl di Pasadena azzurri e verdeoro si scontrano per la Coppa del Mondo davanti a quasi 95 mila spettatori: il sole è caldo, l’umidità altissima (il fischio d’inizio venne dato dall’arbitro ungherese Puhl alle 12.30 locali) e ne esce una partita così così: nervosa e poco spettacolare, tant’è che il risultato al 90esimo è a occhiali.
Da Vipiteno a Caltanissetta, da Muggia a Ventimiglia, da Lecce alla Maddalena gli italiani sono incollati a tv e radio, all’ora di cena, pregustando un nuovo titolo dopo quello immortale del 1982 dei ragazzi di Bearzot (e Pertini). Ma i minuti passano e le due squadre continuano ad equivalersi, anche nei supplementari.
Per assegnare la coppa non c’è altra soluzione che quella dei tiri dagli 11 metri: per la prima volta un Mondiale viene deciso con i penalties, e diversi giocatori sembrano sentire tale responsabilità nel cervello, nel cuore e nelle gambe. Sbagliano subito Franco Baresi, recuperato a tempo di record dopo un grave infortunio all’esordio, e Marcio Santos, poi fanno centro Albertini, Romario, Evani e Branco. Sbaglia Massaro, non fallisce Dunga, tocca a Baggio, sceso in campo – si saprà in seguito – in condizioni fisiche non ottimali.
Il suo tiro termina alto sopra la traversa: il portiere verdeoro Taffarel si inginocchia, esulta e prega, in Italia si abbassa lo sguardo e si impreca, in Brasile parte una festa infinita.
Baggio rimane per un po’ fermo sul dischetto, guarda l’erba vicina ai suoi piedi, pensa a quel che è successo, sembra accettarlo con la serenità che lo ha sempre contraddistinto. Il tempo passa, il rammarico per un mondiale sfumato – non certo solo per responsabilità del “Divin Codino” – in modo così sportivamente crudele rimane. Ma come si fa, ancora oggi, a non volere bene a Roberto Baggio?
“Ma, da quando Senna non corre più/ Ah, da quando Baggio non gioca più/ Oh no no, da quando mi hai lasciato pure tu/ Non è più domenica/ Ma poi si dimentica/ Non si pensa, non si pensa più” canta Cesare Cremonini in Marmellata #25, e anche Lucio Dalla ha celebrato il Roberto nazionale con la canzone “Baggio Baggio”: “Sei mai stato il piede del calciatore/che sta per tirare un rigore/e il mignolo destro di quel portiere/che è lì, è lì per parare/meglio, sta molto meglio il pallone/Tanto, lo devi solo gonfiare”.
Una curiosità per gli amanti del calcio raccontato alla radio riguarda il gol segnato proprio da Baggio alla Nigeria in una partita di quello stesso mondiale, l’ottavo di finale: con gli azzurri a un passo dalla clamorosa eliminazione, su assist di Mussi il campione di Caldogno riuscì a trovare il gol del pari all’89esimo (a cui seguì, nei supplementari, il rigore del passaggio del turno), che fece andare sopra le righe perfino il mitico Sandro Ciotti, all’epoca voce della nazionale per Radio Rai: “E poi c’è il tiro e il gol di Roberto Baggio! Santo Dio, era ora: era ora! Roberto Baggio su passaggio di Mussi: era ora!”. Nel bene e nel male, un altro ricordo indelebile.
(Foto: Qdpnews.it)
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