Modi di dire: fa “un freddo cane”

Da tre settimane è primavera ma, ciò nonostante, l’inverno sembra non volerle cedere il passo. Mentre scrivo piove a dirotto e una fitta nebbia avvolge le pendici dei monti; gli ortolani non si fidano a trapiantare i pomodori per paura della bròsa (la brina) e le api, che fino a pochi giorni fa visitavano senza sosta i fiori delle radicèle (tarassaco) e del zharesér (ciliegio), se ne stanno rintanate nelle loro arnie in attesa di tempi migliori. Insomma, fa ancora freddo e secondo alcuni, forse un po’ esagerati, fa un frèdo can.

Dall’accostamento fra le basse temperature e il migliore amico dell’uomo nasce una locuzione molto comune, ma dalle origini piuttosto incerte. Per molti, “freddo cane” deriva dalla spiacevole sensazione che si prova esponendo il proprio corpo al gelo, qualcosa di simile al morso di un cane inferocito che azzanna fino all’osso le membra intirizzite.

Altri propendono per una spiegazione collegata all’impiego del cane come animale da lavoro. Addomesticato migliaia di anni fa, verosimilmente nel Neolitico, quando uomo e cane si allearono per ottimizzare i risultati della caccia, con l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento al cane fu devoluta la sorveglianza delle greggi e degli insediamenti umani. Compiti che esigevano la permanenza dei cani all’esterno delle dimore, alla mercè delle intemperie e dunque del proverbiale “freddo da cani”.

Nelle lunghe e gelide notti artiche, tuttavia, godere del tepore di un cane accucciato al proprio fianco può fare la differenza fra la vita e la morte; ed ecco che gli Eschimesi hanno imparato a usare il cane come unità di misura per il gelo. Freddo da uno, due o tre cani, nella loro lingua, significa che per affrontare adeguatamente i rigori del clima è necessario far entrare uno o più animali nella propria abitazione.  

Una quarta teoria è collegata al gioco dei dadi, già in voga all’epoca degli antichi greci e romani: se il punteggio massimo si otteneva con il cosiddetto “colpo di Venere”, con il “colpo del cane” si totalizzava il minimo; da qui la similitudine fra il cane e i brividi di freddo che scuotono il corpo in preda alla malasorte.

Qualunque sia l’origine del diffusissimo modo di dire, se c’è un animale ad aver patito davvero un “freddo cane”, questa è senza dubbio Titina, la leggendaria cagnolina del comandante Umberto Nobile (1885 – 1978).

Pioniere del volo, esploratore e ingegnere aeronautico, Nobile fu protagonista di due trasvolate del Polo Nord a bordo dei dirigibili Norge e Italia. Schiantatosi al suolo al culmine della seconda impresa, Nobile sopravvisse per sette settimane sui ghiacci delle isole Svalbard al riparo della celebre Tenda Rossa, insieme a una parte dell’equipaggio e alla fedele Titina protetta da un maglioncino scarlatto confezionatole dalle suore di Trastevere.

Quando, finalmente, i soccorritori raggiunsero Nobile e i suoi uomini quella che apparve nelle migliori condizioni fu proprio Titina che, uscita dal groviglio di corpi, iniziò a sgambettare allegramente sul pack, felice di trovarsi a terra e non per aria: perché la cagnolina sopportava il freddo, ma detestava il volo.

(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Naomi Salome da Pexels)
(Articolo di proprietà di Dplay Srl)
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