La nostra vita dipende dalla nostra conoscenza della biodiversità

“E l’uomo creò Satana” (titolo originale: “Inherit the Wind”), celebre film drammatico del 1960 diretto da Stanley Kramer, brilla per l’interpretazione magistrale di Spencer Tracy.

Basato sull’omonima pièce teatrale, il film racconta il famoso “Processo Scopes” del 1925 in Tennessee, USA. Un’opera che merita di essere vista, disponibile su diverse piattaforme online. Se non l’avete già fatto, fatelo.

Quasi un secolo dopo, sempre negli USA, una notevole conferenza di Sébastien Calvignac-Spencer, un paleovirologo; il suo lavoro è affascinante, è come un esploratore del tempo che, invece di cercare dinosauri o antiche civiltà, va a caccia di virus antichissimi.

Attraverso un “microscopio magico”, Calvignac-Spencer scruta indietro nel tempo, fino all’epoca in cui i nostri antenati erano più simili alle scimmie moderne che a noi.

Il paleovirologo cerca tracce di virus in campioni antichissimi, alcuni risalenti a quando l’umanità apparteneva a specie che vivevano ancora sugli alberi. Sentirlo discutere i suoi dati, è come sfogliare l’album di famiglia nostro e dei virus, osservando processi coevolutivi di millenni.

Le sue ricerche rivelano come i virus abbiano compiuto un lungo viaggio insieme a tutti i primati: alcuni sono mutati tanto quanto noi ci siamo evoluti da un’umanità ora estinta, altri sono rimasti più simili alle loro versioni “scimmiesche”.

Calvignac-Spencer ha persino scoperto che certi virus hanno fatto un “salto” dalle scimmie alle diverse specie umane in tempi remoti. Esattamente la strategia adottata dal virus SARS-CoV-2.

Comprendere questa lunga storia condivisa tra umani, altre scimmie e virus è cruciale per la nostra sopravvivenza. Se un extraterrestre, 40.000 anni fa avesse buttato un occhio alla Terra, avrebbe scorso creature umane appartenenti a 5 specie diverse. Oggi ne rimane una sola, Homo sapiens.

Dal 2007 metà della popolazione mondiale umana vive in città, in densità mai registrate prima dove i virus trovano condizioni ideali per proliferare. Il lavoro di Calvignac-Spencer ci ricorda che, così come siamo legati alle altre scimmie, anche le nostre malattie hanno radici antichissime.

Terminata la conferenza, si aprì la sessione di domande. Tra quelle specialistiche e quelle più generiche, pensavamo di essere giunti alla conclusione quando si alzò un anziano signore, un giudice. Con voce tonante, chiese se qualcuno avesse “esplorato ipotesi alternative”.

“In che senso?” domandò l’organizzatore del convegno.

“Beh, ci sono altre teorie sull’origine dell’umanità. Io, per esempio, sono certo di non essermi evoluto dagli scimpanzé,” affermò l’anziano continuando con argomentazioni ricche di fallacie logiche degne di un corso di comunicazione per principianti.

Inizialmente pensai che il Museo volesse concludere la conferenza con un momento di intrattenimento. Non sarebbe stata la prima volta. Potrei raccontarne di memorabili, ma non adesso.

Dopo un breve silenzio (pensavo una pausa ad effetto): “Signore, Lei non si è evoluto dagli scimpanzé. Lei ha un antenato comune con gli scimpanzé. In ogni caso, Lei non discende dalle scimmie: Lei è una scimmia.”

Dal tono triste del relatore, capii che mi sbagliavo: non era intrattenimento. Avevamo visto in diretta la volontà di rivivere le guerre oratorie inglesi di fine ‘800 o quelle dei primi del ‘900 negli Stati Uniti sull’evoluzione umana interpretate da Spencer Tracy.

Anche se ormai sappiamo bene come la difficoltà della scienza stia proprio nella sua controintuitività, di come la logica retorica non sia lo strumento adatto per analizzare principi scientifici, e come sia la prerogativa del nostro stesso cervello la continua ricerca di agenti esterni anche per eventi casuali, viverlo dal vivo, è stata un’esperienza unica. Veramente interessante.

Grazie giudice!

(Autore: Paola Peresin)
(Foto: archivio Qdpnews.it)
(Articolo di proprietà di Dplay Srl)
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