“La legge sull’autonomia è come un abito su misura, ma con alcuni difetti”. Intervista al professor Andrea Giovanardi 

Il professore Andrea Giovanardi

Lep, materie e autonomia: sono sicuramente queste le parole, almeno a livello politico, di questo 2024. Ne è passato di tempo da quando Luca Zaia propose il referendum sull’autonomia in cui i Veneti chiesero a gran voce quella che all’epoca si pensava ancora a quella riforma che potesse essere paragonata al federalismo. Poi alla parola autonomia venne aggiunto anche il termine “differenziata” e le cose cambiarono di molto, con una legge, quella Calderoli, che promette sì l’autonomia, ma certamente non in maniera spinta come quella raccolta nell’idea iniziale.

L’avvocato Andrea Giovanardi, oltre che essere professore ordinario di Diritto Tributario all’Università di Trento, commercialista e revisore legale è anche quella persona che si è seduta al tavolo, su mandato della Regione Veneto, per trattare con il Governo il raggiungimento dell’autonomia differenziata. 

Fa inoltre parte dei 61 esperti chiamati a comporre il CLEP, il comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. Insomma, un professionista che quanto scritto nel decreto Calderoli lo conosce praticamente a memoria e a cui Qdpnews.it ha chiesto di spiegare, nella maniera più semplice possibile, quanto scritto in quella riforma che sta dividendo l’Italia.

Professore, qual è la vera novità di quest’autonomia differenziata?

“Sicuramente il fatto che si sia arrivati al definitivo varo della legge di attuazione dell’articolo 116, che stabilisce che le Regioni che ne facciano richiesta possano ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie che sono previste nella Costituzione stessa”.

Si parla spesso di materie, quante sono e a cosa servono? 

“Sono 23, ormai penso che questo numero sia conosciuto da tutti, all’interno di queste materie le Regioni che ne abbiano intenzione possono chiedere competenze ulteriori rispetto a quelle che già hanno, ma anche quelle che attualmente sono gestite dallo Stato centrale”. 

Qual è quindi la vera novità?

“Il varo di una legge attuativa di una norma costituzionale che contiene le regole è una legge cornice, una legge quadro che stabilisce il procedimento per arrivare al concreto riconoscimento di ulteriori funzioni e competenze alle regioni”. 

Parliamo invece di tempistiche, quando i cittadini potranno vedere realmente gli effetti dell’autonomia differenziata?

“I tempi sono scanditi dalla legge, distinguendo tra due diverse tipologie di materie: ci sono quelle che hanno a che fare con i diritti civili e sociali e sono le cosiddette materie LEP, ovvero quelle in cui occorre determinare il valore di soglia al di sotto dei quali non si può scendere. In questo modo le prestazioni delle regioni non devono scendere sotto il livello essenziale delle prestazioni che deve essere riconosciuto in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

“Abbiamo invece altre materie, che sono in tutto nove, per cui si può già lavorare adesso e quindi si possono già trasferire funzioni e competenze alla Regione. Stiamo parlando ad esempio della protezione civile a delle professioni. Qui la legge prevede che essendo entrata in vigore la legge Calderoli, è possibile richiedere il trasferimento di funzioni e competenze”. 

In che modo il cittadino si accorgerà dell’entrata in vigore dell’autonomia differenziata?

“Guardate, qui è importante chiarire un aspetto che non risulta sempre chiaro, nel peraltro confuso dibattito a cui stiamo assistendo in questo periodo. Prendiamo come esempio la scuola: quando noi parliamo di autonomia differenziata non stiamo parlando del trasferimento di intere materie perché ci sono tutta una serie di regole che devono essere, per forza di cose, condivise e comuni per tutte le scuole e tutte le scuole di tutta Italia.

Per queste materie quindi si possono trasferire solamente delle funzioni, ma direi in generale, con riferimento all’autonomia differenziata, si possono trasferire solo delle funzioni, delle competenze. Sono le funzioni e le competenze specifiche laddove una Regione ritenga di poter far meglio dello Stato, ritenga di poter essere più efficiente.

L’autonomia differenziata è chiedere allo Stato quelle funzioni in cui si pensa di poter far meglio, in cui si pensa di poter essere più efficienti, in cui si pensa di poter risparmiare rispetto alla spesa che lo Stato sta sostenendo e quindi il vero obiettivo dell’autonomia differenziata è dare servizi migliori ai cittadini, non è altro.

Ovviamente tutto questo comporta un confronto con lo Stato perché all’autonomia differenziata si arriva non con la legge Calderoli ma con le successive intese che sono il frutto di un confronto interistituzionale tra Stato e Regione e quindi in quel confronto evidentemente lo Stato potrà dire “guarda che questa determinata funzione sono in grado di gestirla meglio io”.

C’è un principio che si chiama “di sussidiarietà” per cui determinate funzioni sono svolte certamente meglio a livello statale e magari anche a livello europeo. Il confronto deve essere un confronto leale se vogliamo dare un senso a tutto questo, un confronto ispirato alla collaborazione per fare meglio quello che già oggi si fa. Meglio vuol dire a minor costo se possibile o al costo uguale garantendo maggiori servizi e quindi una maggiore qualità dei servizi”.

Oggi il dibattito, soprattutto quello politico, si sta spostando su una divisione tra Nord e Sud che potrebbe causare l’autonomia, cosa pensa in merito?

“La questione della divisione Nord-Sud è un problema che in qualche modo fa da sfondo all’autonomia differenziata, non possiamo ignorarlo. Il timore delle regioni del Sud è che ovviamente le funzioni e competenze che si trasferiscono devono essere finanziate il che non può derivare da ulteriori tributi che paghino solamente i residenti dei territori che si differenzino”.

Perché?

“Perché altrimenti quei residenti pagherebbero due volte, stanno già pagando oggi l’imposta statale per avere quei servizi, se il provider del servizio diventa la Regione non è che possiamo chiedere un’imposta in più per cui i servizi sono già pagati”.

Allora qual è l’unico strumento possibile?

“È la cosiddetta, so che è un termine non semplice, compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio. Detta in termini molto semplici, abbiamo una spesa da coprire, mi viene riconosciuto un pezzo del gettito di un tributo statale”.

Qual è allora il timore delle regioni del Sud?

“Che se quel pezzo di gettito di un tributo statale, facciamo un esempio il 5%, se l’anno dopo il gettito aumenta, perché aumenta il PIL e quindi aumenta la ricchezza prodotta da quella regione, evidentemente ci saranno più risorse in quella regione, indipendentemente dal costo del servizio da finanziare. E se capita questo, l’assunto è che ci saranno meno risorse per gli altri territori.

Il grosso problema è quello del trattenimento di risorse ulteriori rispetto alla spesa nelle regioni più ricche del Paese, con la conseguenza che allora le altre avranno meno risorse da spendere. Il fatto è che questo timore, che è un timore anche legittimo, è completamente messo fuori gioco dalla tanto criticata legge Calderoli, perché nell’articolo 8 si stabilisce che la commissione paritetica, che è quella che dovrà gestire l’intesa, paritetica perché ci sono rappresentanti dello Stato centrale e di tutti gli altri enti dovranno monitorare”.

Quindi il surplus va restituito allo Stato?

“Esatto, si dovrà vedere quanto costa il servizio e quanto gettito si riesce ad ottenere, con la conseguenza che se c’è un surplus, questo dovrà essere restituito allo Stato. Faccio presente che questo per me è anche un problema, perché sono dell’idea che quantomeno per la parte che la regione riesce a risparmiare per effetto della sua efficienza è un’ingiustizia dover restituire il risparmio. Questa scelta ha oltretutto un effetto assolutamente clamoroso dal punto di vista degli incentivi, perché è chiaro che chi prende un servizio si prende anche la responsabilità di darlo al meglio, di gestire al meglio quella funzione e quindi deve avere anche l’incentivo che la sua efficienza sia premiata, questo nella legge Calderoli non c’è e secondo me è un grande difetto”.

Semplificando di molto, possiamo dire che l’autonomia differenziata sarà come un abito di misura? Anche vista la differenza territoriale tra le regioni italiane?

“Lei ha centrato completamente il senso dell’iniziativa e del progetto anche politico che sta dietro l’autonomia differenziata. Al di là dei suoi limiti, perché la legge Calderoli ha dei limiti, ha anche un seme d’oro, cioè con questa legge viene meno l’uniformità a tutti i costi. Principio molto importante perché i territori, tanto più nel nostro paese, sono tra loro diversissimi e le politiche pubbliche devono essere calibrate in ragione delle esigenze dei diversi territori”.

Ad esempio?

“Pensare di gestire allo stesso modo la Lombardia, che è paragonabile – con i suoi 10 milioni di abitanti – a uno Stato, e il Molise (faccio ovviamente l’esempio della regione più piccola) è secondo me un gravissimo errore e la situazione ipercentralista in cui viviamo non ci sta dando grandi risultati, anzi mi pare che il Paese sia sempre più diviso, il divario aumenta, soprattutto tra nord e sud. Questo principalmente a scapito dei nostri connazionali meridionali”.

(Autore: Simone Masetto)
(Foto e video: Simone Masetto)
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