Ormai è divenuta una consuetudine vedere anche al supermercato il dolce di San Martino, una golosità che affolla anche le vetrine di tutte le pasticcerie veneziane.
Un dolce che si rifà alla giornata odierna, 11 novembre, dove si ricorda la figura di San Martino di Tours, vescovo vissuto nel quarto secolo dopo Cristo, sepolto proprio l’11 novembre del 397 dopo Cristo.
Si narra che il vescovo, a cavallo, si trovava nelle vicinanze di Venezia, quando vide un mendicante seminudo patire il freddo durante un acquazzone. Così gli donò metà del suo mantello, che tagliò con la spada, in maniera che si potesse riscaldare.
Dopo quel gesto, fu così che il cielo si schiarì e la temperatura divenne più mite: da questa storia deriva quindi il concetto di “Estate di San Martino”, un periodo di tre giorni, in cui le temperature registrano un rialzo rispetto alla media stagionale.
Una giornata, pertanto, con uno stretto legame con l’idea di carità e di buone azioni verso il prossimo.
Nel mondo contadino era consuetudine accogliere questa festa bevendo “vin novo” (da qui il detto “A San Martino ogni mosto diventa vino”) e mangiare le caldarroste, mentre la povera gente faceva baccano sotto le finestre degli stessi contadini, nella speranza di ricevere qualche castagna, vino e, se fortunati, qualche moneta.
A Venezia è una tradizione molto sentita quella di regalare il “dolce di San Martino”, una golosità di pasta frolla, glassata o con il cioccolato, che raffigura il santo a cavallo, impreziosita da dolciumi o monete sempre di cioccolato.
I bambini, invece, percorrono con le proprie maestre le vie della città lagunare, indossando in testa una corona di cartone e un mantello rosso e, recitando delle filastrocche dedicate a San Martino, mentre battono delle pentole appese al collo, chiedendo caramelle e dolciumi ai negozianti.
Sul piano religioso, invece, il culto di San Martino viene celebrato nell’omonima chiesa situata nel sestiere di Castello, dove un bassorilievo sulla facciata ricorda l’episodio del santo e del dono del mantello.
Ma al di là dell’aspetto commerciale, religioso e folkloristico, è bene ricordare che questa giornata affonda le proprie radici nel passato, un passato ancestrale legato al mondo contadino.
L’11 novembre, infatti, terminava l’anno del lavoro agrigolo, motivo per cui da alcuni venne poi definito come una sorta di “Capodanno contadino”, tradizionalmente accolto con un pranzo a base di oca (“l’oca di san Martino”), da cui deriva il detto “Chi no magna oca a San Martin, no’l fa el beco de un quatrin” (“Chi non mangia oca a San Martino, non fa un becco di un quattrino”).
Un detto che richiama in maniera chiara il legame con il rinnovo, di anno in anno, del contratto di lavoro contadino, proprio con l’arrivo di questa giornata.
Era infatti l’11 novembre la data scelta per fare la stima di come era andata l’annata, in termini di raccolto: i mezzadri andavano dal “paròn” per fare i conti e ricevere quanto spettava loro.
Un momento che poteva avere anche un retrogusto amaro, considerato che, qualora l’annata non fosse stata ritenuta soddisfacente, la famiglia contadina, che viveva nell’abitazione fornita dal datore di lavoro, poteva essere sfrattata e, di conseguenza, concludere così il contratto di lavoro in quell’appezzamento di terreno.
Ecco, quindi, da dove arriva il detto veneto “l’ha fato San Martin”, che significa “fare il trasloco”: i contadini sfrattati caricavano le loro poche cose su di un carretto e, con tutta la famiglia, andavano in cerca di un nuovo appezzamento di terreno da lavorare come mezzadri, in maniera da avere così un tetto sopra alla testa.
Una giornata, quella odierna, che dimostra quanto ogni ricorrenza racchiuda sempre un significato e un legame con il passato dei nostri nonni e bisnonni.
Ad Asolo il colmello di San Martino, una località raggiungibile a piedi o in bicicletta dal centro di Asolo, è solito organizzare in occasione della festa di San Martino una piccola sagra su invito che da sempre rappresenta una di quelle tradizioni meno conosciute capaci di rendore gli asolani ancora più orgogliosi della loro città. Allestendo dei banchi lungo via San Martino e nel giardino a fianco alla chiesetta omonima, i volontari del comitato di questo quartiere ospitano e propongono un menù che ricorda la tradizione contadina. Protagonista assoluta è “l’oca rosta”, piatto che alla base della propria ricetta prevede il benessere delle oche prima della festa.
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