I lepidotteri, l’ordine di insetti che comprende farfalle e falene, non sono generalmente associati al pericolo nella nostra mente. Eppure, un numero sorprendente di questi insetti possiede potenti meccanismi di difesa basati sul veleno, specialmente durante lo stadio larvale (i bruchi).
Questa caratteristica, esplorata in profondità nella recente revisione scientifica del Professor Andrew Walker dell’Università del Queensland, rivela un mondo affascinante e in gran parte inesplorato di tossine e meccanismi di avvelenamento.
Sebbene i veleni animali siano oggetto di intenso studio scientifico, la ricerca si è storicamente concentrata su serpenti, ragni, scorpioni e molluschi conici. I veleni dei lepidotteri rappresentano invece un’opportunità scientifica quasi completamente inesplorata, nonostante la loro rilevanza per la medicina e la biotecnologia.
I bruchi velenosi non sono rari come si potrebbe pensare. Si stima che circa 3.260 specie di lepidotteri (circa il 2% dell’ordine) producano veleno, e queste specie sono distribuite in almeno 14 diverse famiglie, suggerendo che il veleno si è evoluto indipendentemente più volte in questo gruppo di insetti.
Particolarmente interessante è l’anatomia del sistema di iniezione del veleno. A differenza di altri animali velenosi che possiedono zanne o pungiglioni specializzati, i lepidotteri utilizzano strutture derivate dalle setole (i “peli” degli insetti).
Questi possono essere classificati come setole vere, setole modificate o spine a seconda della loro struttura. Le setole vere sono specializzate per staccarsi dal corpo, penetrare nei tessuti e rilasciare tossine, mentre le spine sono strutture più grandi derivate dall’epidermide stessa.
Gli effetti dell’avvelenamento variano notevolmente tra i diversi gruppi. Il caso più studiato è quello del genere Lonomia(famiglia Saturniidae), i cui bruchi possono causare sindromi emorragiche potenzialmente fatali attraverso tossine che interferiscono con la coagulazione del sangue.
Due tossine di Lonomia obliquasono state ben caratterizzate: Lopap, una proteina della famiglia delle lipocaline che attiva la protrombina, e Losac, una proteina della famiglia delle emoline che attiva il fattore X della coagulazione.
Altri bruchi velenosi producono effetti diversi. Quelli della famiglia Limacodidae (bruchi lima) causano dolore intenso localizzato attraverso peptidi simili alle cecropine che permeabilizzano le membrane cellulari. I bruchi del genere Megalopyge (tra cui il famigerato “bruco gatto” nordamericano) producono dolore attraverso proteine chiamate “megalisine”, simili all’aerolisina batterica e acquisite probabilmente per trasferimento genico orizzontale.
Le falene processionarie (Thaumetopoeaspp. e Ochrogaster spp.) causano reazioni infiammatorie cutanee e, sorprendentemente, possono essere responsabili di aborti nei cavalli quando ingeriscono accidentalmente le loro setole.
Altre specie come Premolis semirufacausano “pararamosi”, una patologia infiammatoria cronica delle articolazioni simile all’artrite reumatoide.
Nonostante questi effetti significativi sulla salute umana e animale, la nostra comprensione dei veleni dei lepidotteri rimane rudimentale. Nessuna tossina di lepidottero ha una struttura tridimensionale determinata empiricamente, a differenza delle centinaia di tossine caratterizzate di altri animali velenosi.
Il futuro della ricerca in questo campo è promettente. I veleni dei lepidotteri potrebbero contenere molecole con potenziale applicazione in medicina, biotecnologia e controllo dei parassiti. Lo studio di questi veleni potrebbe anche fornire nuove intuizioni sull’evoluzione convergente e sui meccanismi molecolari di azione delle tossine.
In un mondo dove cerchiamo costantemente nuove fonti di composti bioattivi, i bruchi velenosi ci ricordano che soluzioni innovative possono trovarsi negli organismi più inaspettati, a patto che sappiamo dove e come guardare.
(Autore: Paolo Peresin)
(Foto: Canva – Heather Cutchin)
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