Mentre alcune Regioni italiane continuano a spingere per ottenere deroghe sulla caccia ai fringuelli e ad altre specie protette, pochi si interrogano sul reale costo di queste battaglie legali e amministrative che sembrano non avere fine. Un’analisi più attenta rivela un sistema perverso che drena risorse pubbliche, crea squilibri ecologici e finisce per danneggiare proprio quegli interessi che si vorrebbero tutelare.
Una storia di infrazioni e condanne
L’Italia ha una lunga storia di violazioni della Direttiva Uccelli dell’Unione Europea (2009/147/CE). Già nel 1987, con la Causa C-262/85, la Corte di Giustizia europea emetteva la sua prima condanna storica contro l’Italia per le pratiche venatorie in deroga. Sono seguite altre sentenze significative:
- Causa C-157/89 (1991) sulla caccia primaverile
- Causa C-103/00 (2002) specificamente dedicata alla caccia ai fringuelli
- Numerose altre pronunce a livello europeo e nazionale
Nonostante questo storico, alcune Regioni italiane ancora oggi continuano a tentare di autorizzare la “caccia tradizionale” ai fringuelli invocando l’articolo 9.1.c della Direttiva Uccelli, una disposizione che permette deroghe in circostanze molto specifiche e limitate.
Chi paga davvero per queste scelte?
La recente risposta della Commissione europea all’Italia è stata chiara: lasciate perdere i fringuelli. Non si tratta solo di un consiglio benevolo, ma di un chiaro avvertimento sui rischi di nuove procedure di infrazione, come quelle appena aperte contro Francia e Malta per questioni analoghe.
Ma quando un paese viene condannato, chi paga effettivamente le sanzioni?
- Lo Stato centrale anticipa il pagamento delle multe, che possono ammontare a milioni di euro
- Le Regioni responsabili vengono poi chiamate a rimborsare lo Stato
- I contribuenti regionali finiscono per pagare attraverso l’aumento di tasse e la riduzione di servizi
Un loop perverso che si autoalimenta
Il sistema creato dalla legge 157/1992 ha istituito un meccanismo che, sulla carta, dovrebbe bilanciare interessi contrapposti, ma che nella pratica ha generato un circolo vizioso paradossale:
- Le deroghe venatorie alterano gli equilibri ecologici
- Gli squilibri faunistici causano danni alle colture
- I danni all’agricoltura richiedono risarcimenti crescenti
- I risarcimenti vengono finanziati con l’aumento delle tasse venatorie
- Le pressioni dei cacciatori spingono le Regioni a chiedere nuove deroghe
A complicare ulteriormente il quadro, la recente ordinanza 27931/2022 della Cassazione ha stabilito la responsabilità integrale della Pubblica Amministrazione per i danni causati dalla fauna selvatica protetta, creando un ulteriore onere finanziario per le amministrazioni regionali.
I costi nascosti delle deroghe
Oltre alle sanzioni dirette, il sistema delle deroghe comporta costi meno visibili ma altrettanto significativi:
- Danni alla biodiversità con conseguenze a lungo termine sull’ecosistema
- Spese legali per difendere posizioni spesso indifendibili davanti ai tribunali nazionali ed europei
- Costi amministrativi per gestire le procedure di deroga e i relativi controlli
- Compromissione della statura istituzionale italiana a livello europeo e internazionale
Una strada diversa è possibile
Nonostante le pressioni di alcune lobby venatorie minoritarie, che non rappresentano la visione della maggioranza dei cacciatori responsabili, molte Regioni italiane hanno compreso l’insostenibilità del sistema delle deroghe e hanno scelto di allinearsi pienamente alla normativa europea. Questa scelta non solo evita sanzioni e spese legali, ma permette anche di destinare risorse a politiche più efficaci di gestione del territorio e della fauna selvatica.
Una gestione faunistica basata su evidenze scientifiche, rispettosa delle normative europee e orientata al lungo termine rappresenta l’unica via veramente sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico.
Continuare a inseguire deroghe che sistematicamente vengono bocciate dall’Europa rivela innanzitutto la totale assenza di principi scientifici nella gestione faunistica e, in secondo luogo, rappresenta una battaglia persa in partenza nonché un costoso capriccio che finisce per gravare sulle spalle di tutti i cittadini italiani, cacciatori in primis.
(Autore: Paola Peresin)
(Foto: archivio Qdpnews.it)
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