I pesci d’acqua dolce nella tradizione della Marca trevigiana: lo storione

Lo storione

Un tempo diffuso nelle acque del Mediterraneo e in quelle di Po, Piave, Sile, Livenza, Brenta, Adige, Tagliamento, Tevere e Garigliano, oggi lo storione è gravemente minacciato dall’inquinamento, dagli sbarramenti che ne impediscono la risalita dei fiumi per la deposizione delle uova e dalla competizione con specie estranee come il siluro. Tutti fattori che incombono pesantemente sul futuro di un animale comparso ancor prima dei dinosauri.

Plinio il Vecchio nel I secolo d.C.  metteva in relazione l’indole pigra del pesce con la sua mole imponente precisando che, per tirarlo a riva, occorreva una coppia di buoi. Nel romanzo Scano Boa, ambientato nel Delta del Po, Gian Antonio Cibotto (1925 – 2017) narra una disperata avventura di pesca allo storione nella quale si colgono le medesime suggestioni di Moby Dick o del Vecchio e il Mare.

Di colore grigio scuro sul dorso e chiaro sul ventre, il corpo provvisto di caratteristiche placche ossee, munito di scheletro cartilagineo e solo parzialmente ossificato, lo storione sonda sistematicamente i fondi melmosi e sabbiosi aspirando, con la bocca protrattile munita di quattro barbigli crostacei, vermi e pesci. L’abitudine di questa specie di nuotare nelle fosse più profonde dei fiumi ha alimentato fra i pescatori trevigiani la credenza che alcuni corsi d’acqua della Marca nascondano misteriose buse dei storioni.

Nel Mar Adriatico, fino a qualche decina di anni fa, si potevano rintracciare almeno tre specie. Lo storione comune (Acipenser sturio), capace di superare i due quintali di peso e il secolo di vita. Lo storione cobice (Acipenser naccarii), più tozzo e più piccolo del precedente e che deve il proprio nome al naturalista chioggiotto Fortunato Luigi Naccari (1793 – 1860). Infine lo storione ladano o beluga (Huso huso), il più grande di tutti, in grado di sfiorare la taglia record di nove metri per oltre 1000 chili.

Già alla fine dell’Ottocento Alessandro Ninni giudicava scarsissima la risalita dei fiumi trevigiani da parte dello storione comune (sturiòn o porceleta nella fase giovanile) sebbene pochi anni prima, nel 1830, un fortunato pescatore di Ponte di Piave fosse riuscito a catturarne un esemplare di 130 libbre (circa 45 chili) nei pressi di Salgareda. Ancora più raro era il cobice (in dialetto còpese); addirittura rarissimo lo sturiòn disarmà (storione disarmato o ittiocolla) cioè il ladano o beluga, pescato una sola volta nel Piave. In Italia, secondo studi recenti, lo storione ladano e quello comune sarebbero pressoché estinti da una quarantina d’anni mentre il cobice è considerato in grave declino. L’occasionale cattura di queste specie riguarderebbe esemplari provenienti da allevamenti, piscicolture o immessi in natura nel tentativo di ripopolare i diversi habitat.

La tradizionale pesca dello storione nelle acque trevigiane prevedeva l’utilizzo dell’olandina, una rete tesa verticalmente grazie a un’armatura di piombi nella parte inferiore e di galleggianti in quella superiore. Non era raro che venissero posate più reti in successione per aumentare le possibilità di intercettare i movimenti della preda.

Elusivo, misterioso e imponente lo storione alimenta da sempre la fantasia, la curiosità e l’avidità dell’uomo. Le uova pregiatissime, dalle quali si ricava il caviale, e le carni così delicate da essere paragonate a quelle di vitello fanno bella mostra sulle tavole dei più ricchi e potenti della terra. In un recente incontro fra il premier russo e quello cinese la zuppa di storione figurava nel menu della raffinatissima colazione ufficiale al Cremlino. La ricetta del coulibiac, una torta salata a base di storione tipica dell’Europa orientale, fa parte del repertorio di un fuoriclasse della gastronomia, August Escoffier (1846 – 1935). Nei ricettari dell’Italia settentrionale e dunque del Veneto lo storione è servito stufato, arrostito, sotto forma di involtini o guarnito con una salsa a base d’acciuga. Il midollo del pesce, in russo vyaziga, fu uno degli ingredienti usati per preparare un ricercato consommé sul Titanic alla vigilia del tragico affondamento. La colla di pesce ricavata dalla pelle e dalla vescica dello storione è tutt’ora molto ricercata per i lavori di liuteria, dai pittori e per la costruzione di archi e frecce.

In araldica la sua sagoma orna il blasone di numerose città o regioni prossime a corsi d’acqua nei quale il pesce prospera (o prosperava): Ejsk in Russia, Shyrokyne in Ucraina e San Zenone al Po in provincia di Pavia.

La speranza è che lo storione, prima che sia troppo tardi, venga salvato dalla definitiva scomparsa e possa ritornare a essere “il pellegrino delle più illustri onde” come lo definì Ovidio oltre duemila anni fa.

(Foto: Ente Parco Ticino).
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