Ca’ Dario, una storia maledetta

Il nostro Paese è disseminato di luoghi stregati, lugubri, nei quali risuona l’eco di orribili misfatti. Da nord a sud, in ogni regione, è possibile imbattersi in castelli, palazzi, addirittura interi borghi sui quali aleggia un’atmosfera cupa e sinistra. Ad aggiudicarsi il primato di luogo più nefasto d’Italia è tuttavia un raffinatissimo edificio veneziano, Ca’ Dario, sempre citato nelle diverse “top ten” dedicate alle case maledette.

Ubicata al civico 353 del Sestiere di Dorsoduro, la zona più vivace di Venezia, Ca’ Dario porta il nome della storica dinastia originaria della Dalmazia della quale fece parte Giovanni, mercante di spezie e bailo a Costantinopoli nel XV secolo. Giovanni Dario, incaricato di tutelare gli interessi politici e mercantili della Serenissima presso la corte turca ebbe un tale successo da meritarsi, all’indomani di uno storico accordo con gli Ottomani, l’appellativo di “salvatore della patria”.

Gratificato anche sotto il profilo economico egli affidò la costruzione (secondo alcuni la ristrutturazione) del palazzo a Pietro Lombardo, architetto e scultore ticinese molto attivo nella Venezia dell’epoca. Il risultato fu strabiliante e lo si può cogliere ancora oggi osservando la facciata in stile gotico lambita dalle acque del Canal Grande, decorata con marmi policromi e pietra d’Istria. Il palazzo, inclinato per via di un cedimento, è impreziosito da decorazioni moresche, ornamenti rinascimentali, una splendida vera da pozzo e dai caratteristici camini veneziani, riconoscibili per la silhouette troncoconica, studiata per scongiurare gli incendi provocati dal turbinio delle scintille e favorire il ricambio d’aria.

Facile immaginare l’orgoglio del committente che, a lavori ultimati, fece apporre un’iscrizione col proprio nome, Ioannes Darius, alla base del palazzo. I più maligni sostengono che fu una scelta infelice visto che la frase, anagrammata, si tramuterebbe in un terribile vaticinio: “chi abita questa casa andrà in rovina”. Come se non bastasse c’è chi adombra l’ipotesi che Ca’ Dario sorga su un preesistente cimitero templare e che subisca i malefici provenienti da un talismano nascosto nelle vicinanze.  

I primi a fare le spese della presunta maledizione furono alcuni parenti strettissimi di Giovanni Dario: la figlia Marietta, suicida per annegamento, il genero Vincenzo Barbaro, assassinato dopo il fallimento economico e un nipote accoltellato sull’sola di Creta. Una escalation di tragedie a causa delle quali Ca’ Dario rimase disabitata sino agli inizi dell’Ottocento. Il primo a riaprirne i battenti fu l’armeno Arbit Abdoll, un facoltoso mercante di preziosi ben presto travolto da un colossale tracollo economico.  Dopo svariati passaggi di proprietà, Ca’ Dario fu acquisita da un agiato americano la cui condotta licenziosa ne provocò il precipitoso allontanamento seguito dal suicidio dell’amante, Juan de Carrera, morto in Messico. Una storia che non passò inosservata e finì con l’alimentare i pettegolezzi su Ca’ Dario, da alcuni ribattezzata “Ca’ Dadrìo” per i ripetuti e pruriginosi scandali omosessuali.  

Se la fama sinistra del palazzo fece desistere dall’affare il celebre tenore fiorentino Mario Del Monaco, il nobile antiquario piemontese Filippo Giordano delle Lanze non seppe cedere al miraggio di possedere la storica dimora che acquistò all’asta nel 1968. Due anni dopo la domestica rinvenne il corpo seminudo del conte, con la testa fracassata da un pesante vaso d’argento, in un lago di sangue. Il diciottenne marinaio croato Raoul Blasich, un chiacchierato amico della vittima, fu accusato dell’omicidio e condannato in contumacia.

All’inizio degli anni Settanta Christopher Lambert, manager del gruppo rock britannico The Who, comprò Ca’ Dario stregato dalle malinconiche atmosfere veneziane, ma non se la godette per molto. L’abuso di stupefacenti, l’arresto e la rovina economica lo allontanarono presto da quella splendida residenza. Di lui si dice che per sfuggire agli spettri dello storico palazzo dormisse nel casotto dei gondolieri a fianco del leggendario Gritti Palace.

Ultime vittime eccellenti della maledizione di Ca’ Dario furono Nicoletta Ferrari e Raoul Gardini. Nicoletta, quarantatreenne sorella del finanziere e playboy mestrino Fabrizio Ferrari, morì il 28 settembre 1987 in un misterioso incidente stradale fra Musile e Fossalta di Piave. L’anno precedente il fratello aveva venduto Ca’ Dario a Raoul Gardini prima di essere travolto da un tracollo finanziario e invischiato in una brutta storia di violenza. Gardini, che acquisì il palazzo sul Canal Grande per sei miliardi di lire con l’intento di donarlo alla figlia, si toglierà la vita con un colpo di pistola a Milano il 23 luglio 1993 in piena Tangentopoli.

Da allora Ca’ Dario è nelle mani di una finanziaria estera. Woody Allen, come Del Monaco, ha rinunciato all’acquisto; il musicista John Entwistle, storico bassista dei Who, è morto d’infarto nel 2002 a pochi giorni di distanza da un soggiorno nel palazzo veneziano che aveva preso in affitto.

Mentre scrivo Ca’ Dario è ancora in attesa di un nuovo proprietario. Un’esclusiva agenzia immobiliare ne decanta le meraviglie soffermandosi sui particolari architettonici del palazzo, sulla distribuzione delle superfici interne ed esterne, ma glissando sulle presunte maledizioni, liquidate con un generico riferimento all’alone di mistero che da secoli ammanta il palazzo.  Gli scettici, i pragmatici, coloro che non vacillano dinanzi al malaugurio e scherniscono i superstiziosi possono dunque farsi avanti. Ma attenzione a un dettaglio: per affacciarsi sul Canal Grande come l’antico proprietario Giovanni Dario servono almeno diciotto milioni di euro. Un valido pretesto per non correre alcun rischio.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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