Santi, beati e ricorrenze di oggi, venerdì 10 giugno: Beata Diana degli Andalò e Beato Enrico da Bolzano

Diana degli Andalò nacque nel 1201 a Bologna da una famiglia nobile bolognese molto conosciuta. Il padre Andrea Lovello faceva parte della consorteria dei Carbonesi. Diana era una grande ammiratrice del beato Reginaldo d’Orléans. La giovane nell’estate del 1219 si avvicinò ai domenicani, accolta da Domenico di Guzmán nonostante la famiglia fosse contraria.

Nell’estate del 1221 voleva unirsi alle monache agostiniane dell’Eremo di Ronzano ma anche questa scelta venne osteggiata dalla famiglia. I familiari provarono di tutto per non farla entrare nel monastero fino a rapirla, strappandola alle Canonichesse. Di ritorno nella casa paterna tuttavia la giovane tentò di nuovo la fuga verso l’Eremo di Ronzano, dove riuscì a fermarsi per due anni.

A questo punto il beato Giordano di Sassonia decise di incontrare la famiglia per cercare una via che mettesse d’accordo sia Diana che la famiglia. Si accordarono che l’unico modo fosse quello di fondare un convento in quel luogo per averla vicino alla famiglia d’origine. Pertanto nell’autunno del 1222 Diana con il contributo della famiglia e di Giordano fondarono il monastero di sant’Agnese di Bologna, su di un podere del padre.

Diana trascorse tutta la sua vita in quel monastero, e ne diventò superiora. Anche altre suore all’interno del monastero diventarono beate, come Amata e Cecilia di Bologna. Diana venne beatificata da papa Leone XIII, l’8 agosto 1888.

Nato a Bolzano verso il 1250, il beato Enrico condusse la dura vita del povero operaio. In epoca non precisata si trasferì a Treviso con la moglie e il figlio, e, dopo la loro morte, visse in un oscuro ricovero messogli a disposizione da un notaio. Negli ultimi anni si ridusse in estrema povertà, accettando l’elemosina.

A Bolzano come a Treviso fu ammirato come assiduo frequentatore di chiese (a Treviso soleva visitare tutte le chiese della città ogni giorno) e avido ascoltatore di Messe. Più ammirata ancora fu la sua vita di penitente: dormiva su un duro giaciglio, portava un ruvido saio, praticava lunghe veglie in preghiera. Quando si spense, tutto solo nella sua cella, i trevigiani dissero che era morto un santo.

I funerali videro un concorso immenso di popolo e furono accompagnati da strepitosi prodigi. Seguirono per oltre un anno pellegrinaggi che condussero dalle città vicine migliaia di persone all’arca del poverello, collocata nel duomo di Treviso sopra un altare.

Una commissione vescovile registrò in poco tempo trecentoquarantasei miracoli, per lo più guarigioni, su deposizione di testimoni oculari. Uno di questi fu il biografo di Enrico, Pier Domenico di Baone, che fu più tardi vescovo di Treviso.

Ricognizioni delle reliquie si ebbero nel 1381 e nel 1712; una reliquia insigne nel 1759 fu portata a Bolzano ed è venerata nel duomo. In queste diocesi sorsero alcune chiese a lui dedicate. Il culto del beato fu approvato da Benedetto XIV, per la diocesi di Treviso, e da Pio VII, per quella di Trento.

(Foto: archivio Qdpnews.it – Wikipedia).
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