A Vergoman di Miane, la sagra secolare di Sant’Antonio Abate, con i riti religiosi dedicati al patrono nella chiesa dell’agognato restauro, la ricollocazione dell’antica, massiccia e simbolica croce posta in mezzo al reticolo delle vie del borgo, e i vari momenti della convivialità che si fa tradizione enogastronomica d’eccellenza, accoglienza squisita e spirito autentico di volontariato.
A Codognè, grande interesse e folta partecipazione all’evento di presentazione del calendario comunale realizzato seguendo i percorsi della memoria e della devozione espressi nei capitelli, nei sacelli e nelle edicole che parlano dei santi e della tenace custodia di sedi preziose di fede e di vita.
A Portobuffolè, l’adesione, il sostegno e la collaborazione di istituzioni, associazioni e gruppi locali per la mostra sul pittore Giulio Ettore Erler, aperta fino al prossimo 29 giugno al museo Casa Gaia da Camino, che rende ancora più suggestiva e attraente l’atmosfera unica di questo angolo speciale di bellezza di Marca.
Ebbene, nell’arco dello scorso fine settimana, tre luoghi e tre occasioni e modi diversi per esprimere il significato e il valore dell’essere insieme, del costruire sinergie e collaborazioni importanti e decisive, del concorrere all’edificazione del senso vivo e profondo di comunità. Non lo ribadiamo a caso in questo tempo d’inizio del nuovo anno, perché tutto ciò ha il sapore inconfondibile della buona notizia, di conforto e di auspicio per le opere e i giorni che verranno in questo 2025.
Non ci stanchiamo mai di ripetere, infatti, che dobbiamo reagire all’ondata di tristezza e pessimismo che sembra invadere tanti cuori per la difficoltà, la drammaticità, le fatiche e le ostilità che caratterizzano in molti casi la stagione presente, sia a livello di relazioni interpersonali, sia nell’ambito degli scenari internazionali di popoli e nazioni. Non possiamo arrenderci a questi sentimenti negativi, per i quali non è estranea una comunicazione di mass media e social che sembra puntare sempre sulle cose che non vanno, sulla cronaca nera, sugli episodi gravi e preoccupanti (che pur ci sono) come specchio e riflesso della società in cui viviamo. Nessuno si nasconde dietro a un dito, e nessuno vuole fare l’ottimista a tutti i costi, con un senso di distacco e di estraneità dalla reale consistenza della società odierna, in effetti complessa e problematica.
Allo stesso tempo, non possiamo rassegnarci alla narrazione – che sembra prevalente – di questi nostri tempi infelici e decadenti, come se in tanti luoghi e in mille forme non continuasse nel quotidiano l’attività instancabile di quanti lavorano con coraggio, generosità e speranza per rafforzare la vita buona delle comunità. Certo, tutto questo sembrerebbe più facile nei centri più piccoli, laddove i rapporti interpersonali sono più vivi e diretti, e dove l’attaccamento alle dinamiche sociali, il senso dell’identità e l’orgoglio delle radici sono maggiormente presenti rispetto ai contesti più grandi e popolosi, nei quali si notano spesso relazioni più difficili, individualismo e indifferenza a riguardo delle sane espressioni dell’esistenza collettiva.
Ma nulla è invece scontato, e nulla avviene per caso, oggi, neppure nei paesi, nelle realtà e nelle sedi che potrebbero offrire a prima vista le condizioni migliori per la costruzione di comunità attive e coese, favorite dagli incontri dagli incontri e dall’impegno di persone che vantano conoscenza diretta fra loro, e comuni radici, esperienze, progetti e traguardi. Qui si tratta di scelte concrete e consapevoli, ispirate da valori e da sentimenti autentici, e non di inutili proclami. Come negli esempi dei tre centri di Marca citati sopra, esistono ancora per fortuna coloro che hanno consapevolezza, amore e orgoglio per l’identità e la storia del proprio ambiente di nascita e di vita, e non vengono mai meno alla volontà di poter concorrere alla custodia e alla declinazione di questo forte fattore comunitario.
Si tratta di un sentimento profondo, tramandato dalle generazioni che li hanno preceduti, e al quale sono stati educati in famiglia in maniera naturale, come si trattasse di un passaggio inevitabile, ineludibile, vero e felice. Con il passare degli anni, essi hanno acquisito maturità, idee e nuovi approcci, ma non hanno mai derogato rispetto al valore fondante di queste condivisioni e di questa dedizione a un sentire pubblico. Anzi, negli anni essi hanno rafforzato studio e approfondimenti, sia a livello personale che di gruppo, proprio per acquisire elementi ancora più validi e probanti sui percorsi storici, i dati ambientali e le possibilità di valorizzazione e promozione in chiave moderna di questi tratti di socialità, assolutamente originali.
Ne scaturisce un senso di consapevolezza alto e forte, che dona immagine e sostanza a questo speciale “orgoglio di comunità”, inteso non come rivendicazione in solitudine, chiusa e limitata, quasi “separata”, del proprio esistere, ma come esempio concreto della bellezza e della qualità di rapporti umani identificati in un territorio, aperti alle relazioni con altri soggetti, protagonisti di un vivere sociale restituito alla freschezza e alla vivacità della loro essenza locale. Per tutto questo servono persone ispirate, capaci, generose, lontane da quanti sono zavorra e perditempo, pazienti ma ferme nei loro progetti di animazione culturale e sociale, disponibili a guidare processi in rete, attente alla cura delle relazioni e al lavoro di squadra. Sono proprio loro a fare la differenza, sono loro l’autentico “orgoglio di comunità”, senza alcun dubbio, esemplari e generativi per creare processi e mettere in campo tutto ciò che può contribuire a migliorare la qualità della vita di tutti. Certo, cominciamo dalle esperienze molto positive dei paesi, dei piccoli centri, dei borghi, convinti che da qui potranno partire una nuova storia e una narrazione condivisa di vita buona e di nuovo umanesimo.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
(Foto: Renato Sandel)
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