Onore a chi si prende cura


Ci sono giornate dedicate che durano sempre, perché parlano della vita, perché esprimono la bellezza dell’esistenza, perché raccontano anche la fragilità e le fatiche della nostra esperienza quotidiana, narrando fatti e situazioni che sono comuni a tutti, che non cambiano, a ogni latitudine, in ogni angolo del mondo. 

La Giornata del Malato, celebrata nei giorni scorsi, presenta queste caratteristiche, questa speciale identità: è come un appuntamento non solo opportuno, ma direi quasi necessario, per ricordare a noi stessi il senso pieno della nostra umanità, della sofferenza che è innata e visibile nella nostra condizione individuale, del fatto che non siamo assolutamente perfetti, ma soggetti al dolore fisico e morale che solo la prossimità, la cura, l’amore possono redimere, consolare, aiutare a sopportare, consentire di  accettare e, magari, anche curare e vincere.

Non serve molto a comprendere tutto questo: basta una visita in ospedale, in una casa per anziani, in un centro di assistenza per persone disabili per capire il senso della prova e delle fatiche per la malattia che affligge, il tempo che passa inesorabile e colpisce libertà e autonomia, l’inabilità che segna limiti e vincola percorsi di indipendenza delle persone.

Da un lato, queste nostre presenze nei luoghi della sofferenza favoriscono la consapevolezza sulla verità di quello che siamo, senza perfezionismi e deliri di onnipotenza, presunzioni e ragioni altisonanti: la condizione umana è debole e caduca, e dovremmo ricordarci sempre quanto possa essere repentino, casuale e fortuito il cambio delle nostro “status” ordinario di normalità, per questi fattori esterni di fisicità in negativo che possono giungere inaspettati, immotivati e severi.

Dall’altro lato, questi stessi luoghi ci rivelano come siano in tanti  ogni giorno a offrire competenza, dedizione, bravura e generosità per assistere e curare le situazioni di dolore e di difficoltà. Un mondo nascosto, troppo spesso, lontano dalle luci dei riflettori e della ribalta, che si prende letteralmente “cura” dei destini altrui. Costantemente in azione, unendo doti di professionalità e spirito di abnegazione, investiti di compiti delicati e complessi, condividono innanzitutto lo sguardo sulla fragilità, una vitale prossimità, il farsi carico delle inquietudini, delle domande, delle attese di chi non sta bene in quel momento, e teme per il decorso della sua patologia e della sua invalidità.

Ci sono i rimedi della medicina, certo, diventati sempre più efficaci con il passare degli anni, oggi specialmente con le nuove scoperte e tecnologie robotiche in ambito chirurgico, che danno speranze concrete di guarigione e di qualità della vita futura a un numero sempre più ampio di pazienti. E c’è una scienza in generale che anche nel campo della geriatria e della disabilità riesce a dare risposte sempre più importanti e concrete alle esigenze delle persone in sofferenza.

Ma non basta: conta tantissimo il fattore umano, lo spirito di vicinanza, di attenzione, di ascolto e di dialogo, nel segno della comprensione autentica della difficile fase di vita altrui, da parte del personale medico e infermieristico, degli operatori, degli assistenti e di tutti coloro che sono chiamati a svolgere un ruolo davvero fondamentale di dedizione e di servizio. In  tutti questi casi si ricerca certezza di cura e di approccio individuale, frutto di competenze acquisite e di esperienze significative maturate sul campo. Ma la differenza è sempre e comunque nella dimensione umana di chi si “prende cura”, non lascia solo al suo destino chi vive nella fragilità e nella preoccupazione per quello che sta accadendo, non misura o lesina sforzi e orari per poter corrispondere alle richieste di chi ricerca premure, consiglio, conforto, calore umano, fiducia e speranza.

Ma oggi questo sembra non bastare più, agli occhi di persone che ormai hanno preso in tanti casi segnalati di cronaca nera, in ogni parte d’Italia, la bruttissima abitudine di offendere, minacciare, addirittura colpire materialmente e ferire quanti sono impegnati nel loro lavoro – faticoso, prezioso e insostituibile – al servizio della sanità e della socialità del nostro Paese. A loro viene attribuito ogni tipo di responsabilità, fossero anche semplici ritardi nelle sale d’attesa di ospedali e cliniche, sicuramente motivati e comprensibili.

Assistiamo all’inaccettabile paradosso per cui chi si “prende cura” nelle apposite strutture della salute degli altri – dopo aver studiato ed essersi applicato a lungo in vista di una professione di grandi competenze, qualità e implicazioni  – viene oltraggiato, percosso e messo a repentaglio nella sua libertà e dignità da individui che dovrebbero invece solo ringraziare per quanto viene messo a loro disposizione dal servizio sanitario nazionale. Si tratta di una deriva devastante e pericolosa, alla quale è necessario porre rimedio con provvedimenti adeguati e di sicuro effetto, nell’ottica della protezione di tutti coloro che accedono in generale alle strutture ospedaliere e ambulatoriali.

E’ questione di valori fondanti e di priorità per l’intera comunità nazionale: chi si prende cura delle vite degli altri deve essere in ogni difeso e salvaguardato nelle sue funzioni e nelle sue attività. Serve dare il naturale, giusto, concreto riconoscimento a quanti si prodigano, al meglio delle proprie possibilità, per la realizzazione dell’autentico bene comune, a cominciare dalle garanzie reali e dalla tutela effettiva delle condizioni del loro lavoro. Ecco una vera sfida di vita buona, di nuovo umanesimo, di civiltà giuridica, fondamentale e decisiva per il futuro di tutti noi.      

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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