Ci sono tre regole del diritto descritte dal giurista romano Eneo Domizio Ulpiano nelle sue Regole, che arrivano sino a noi come perle di immutata saggezza: «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere».
Si traduce così: “La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo”.
Peraltro, la frase nella forma Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere troneggia sulla facciata del palazzo di giustizia di Milano, un luogo in ogni caso simbolico di una fase della storia recente della politica e della società italiana all’insegna della richiesta di legalità e trasparenza per gli attori della vita pubblica.
Ecco, al fondo troviamo uno dei principi cardine del nostro ordinamento, fondamentale per la costruzione dell’impianto complessivo di una comunità armonica e pacifica, basilare per l’edificazione di un impianto sociale dalle solide fondamenta etiche: il rispetto per la vita, per l’integrità fisica e morale e per i beni di proprietà di altre persone, di coloro che ci stanno accanto, di quanti vivono insieme a noi.
Il rispetto, dunque. Lo ricordiamo, proprio in questi giorni, funestati da un gravissimo episodio di femminicidio con una giovane vittima sul nostro territorio veneto, proprio nella settimana che conduce alla ricorrenza di sabato 25 novembre, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”.
Un’attitudine, un convincimento, un valore scolpito nel cuore delle persone, un principio che si auspicherebbe ben saldo, incardinato e radicato nell’animo di tutti i componenti di una comunità. Lo affermavano con assoluta chiarezza e linearità gli antichi romani, alle radici della concezione dei diritti e dei doveri individuali che ancor oggi sono determinanti per l’affermazione quotidiana di una società libera e coesa. Paradossalmente, sembra però che questa lezione, più che mai attuale e senza tempo, non trovi più la corrispondenza adeguata nelle convinzioni e nei comportamenti di un numero non indifferente di cittadini, che non dimostrano in molti casi attenzione e adesione a un’idea alta e giusta del vivere civile della collettività. Innanzitutto, la questione del “non ledere”, del non recare danno, del non ferire, del provare concreto ed effettivo “rispetto” per le vite e i beni altrui.
Ecco, spesso tutto questo sembra quasi passato di moda, non avere più forza cogente e di riferimento, non rappresentare più un “must”, un dovere imprescindibile, l’espressione eloquente dello stare in comunità con sentimenti di appartenenza mite al bene dell’intera comunità. Conta innanzitutto, per questi casi negativi, il soddisfacimento di interessi, piaceri ed obiettivi esclusivamente personali, anche laddove questi mettessero in pericolo la dignità, la salute e la legittima proprietà di beni in capo ad altri soggetti, giustamente tutelati secondo le norme di diritto.
Certo, il più delle volte non si tratta di atteggiamenti deliberati, di azioni finalizzate a recare danno sulla base di un intento preordinato, di una volontà precisa di mettere atto dei comportamenti con effetti spiacevoli, che possono causare serie conseguenze. Il più delle volte parliamo di noncuranza, sciatteria, distrazione, approssimazione, mancanza di cura nelle relazioni: peccati veniali, si potrebbe dire. Alcune prassi sono però alimentate da invidia e gelosia per lo stato e i successi altrui, divenute ormai una vera malattia sociale, in molti casi gravi come una calamità: basti pensare a tutto quello che riguarda ormai il mondo della comunicazione social, e alla facilità con cui si arriva a denigrare una persona con effetti virali, talmente evidenti e diffusi da creare vere e proprie diffamazioni digitali nefande, perniciose e devastanti, molte volte inarrestabili e irrimediabili,. Manca il senso del rispetto, come se la propria libertà non conoscesse il limite della libertà in capo agli altri, altra antica lezione di cultura e diritto tramandata nei secoli e sempre valida e attuale.
Proprio questo difetta, il senso del limite e del rispetto, in un tempo come il nostro nel quale le conquiste di libertà, sviluppo e qualità nella vita della nostra civiltà dovrebbero rappresentare un faro di comportamenti virtuosi a livello sociale, proprio nella logica di un vissuto comunitario ispirato ai grandi valori della tolleranza, della giustizia e della pace. E invece no: in una dinamica di sovrapposizioni e confusioni di ruoli, viene meno il rispetto, si perde per strada la giusta considerazione delle vite degli altri, si mettono in atto comportamenti che sembrano manifestare un senso di onnipotenza, di libertà assoluta, di proprietà individuale anche dei diritti e delle facoltà attribuite alle altre persone.
Il passo è breve: se l’idea del rispetto degli altri viene meno, se posso dire e fare quello che voglio, se nessuno può opporre limiti al mio agire, comunque e dovunque, allora anche la lesione effettiva, la ferita inferta, il danno provocato non hanno più consistenza, non hanno particolare importanza, rischiano di non destare più quella disapprovazione sociale che magari era consolidata nel tempo passato.
Basti pensare alle condotte scellerate di tanti automobilisti, alle liti di vicinato che sorgono per futili motivi e che si tramutano in fatti sanguinosi, agli eventi di cronaca negativa sorti nelle aule scolastiche ai danni di docenti e compagni di classe, alle aggressioni e alle reazioni violente incredibili contro il personale medico e sanitario negli ospedali.
E se parliamo di furti e rapine, quale concezione dei beni altrui è diffusa nella nostra società? Fino agli atti estremi, all’offesa all’integrità della vita delle persone. Per certi aspetti, tutto questo sembrerebbe essere all’insegna di una concezione dell’”homo homini lupus”, come se i traguardi di diritto e civiltà non avere caratterizzato in positivo l’evoluzione della nostra società, ormai da lungo tempo. Non ci sono alternative: deve tornare ad affermarsi il rispetto della vita, della libertà morale e fisica e dei beni propri delle persone, che non possono essere lesi dalla colpa e dal dolo di chi non ha compreso, o non vuole proprio prendere atto, delle regole poste a fondamento della convivenza civile. “Homo homini amicus”, perchè “alterum non ledere” : la sfida educativa per la vita buona della comunità riparte da qui, dall’antica saggezza del diritto romano.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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