“Li ho cercati sempre i migliori, per capire se potevo migliorare me stesso. Non so se ci sono riuscito, ma non ho sprecato comunque nemmeno un’ora perché ho conosciuto persone belle, e ho sentito parole affascinanti. Cosa puoi chiedere di più al tuo tempo? Nulla, credo. Anche perché le persone belle spesso ti capitano per caso. E per fortuna, qualche volta, non ti lasciano più”.
Ha scritto molto bene Alberto Caprotti ieri in prima pagina sul quotidiano Avvenire, nella sua rubrica “Smemorie”. Di fatto, ha dato parole efficaci ed eloquenti a sentimenti importanti, alla realtà di persone che possono essere decisive per il cambiamento della nostra vita. In meglio.
Di sicuro, si tratta di un approccio di speranza, di un invito alla ricerca di uomini e donne che interpretano al meglio la loro “mission” (non solo) individuale nella comunità, rassicurando al tempo stesso che questa tipologia di persone ideali non solo sussiste veramente, ma opera costantemente, senza clamori, per donare luce e progresso al mondo. Sempre secondo Caprotti, questi soggetti esemplari – che si elevano rispetto alla diffusa modestia di contenuti e di comportamenti di tanta umanità del nostro tempo – sono quelli che “hanno qualcosa da dire, perché quasi sempre hanno anche qualcosa da dare. Quelli che sono disposti a cambiare idea, che preferiscono i dubbi alle certezze, che parlano piano e pensano forte …. quelli che hanno il dono della sintesi, perché l’emozione è sintesi …. quelli che non danno mai giudizi se non conoscono a fondo quello di cui si parla. E quelli che di fronte a un problema, anziché accusare chi lo ha creato, si domandano come possono impegnarsi a risolverlo senza danneggiare gli altri …”.
Sembrerebbe una sorta di “rivoluzione copernicana” rispetto allo stato delle cose praticato da tanti e sperimentato da molti, nel quale prevalgono troppo spesso atteggiamenti saccenti, presuntuosi e arroganti, lamentazioni sterili, critiche corrosive alle spalle di colleghi, amici e conoscenti, discorsi a vanvera su tutto lo scibile umano, soprattutto quello non conosciuto, verbosità senza costrutto e la reiterata capacità di alimentare continuamente i problemi e le difficoltà nel campo delle azioni concrete e delle relazioni umane, invece di ricercare e trovare soluzioni adeguate e di bene comune. In definitiva, la riflessione di Caprotti diventa molto interessante e significativa sotto due aspetti: innanzitutto, la convinzione sicura che questi “migliori” esistono nelle vicende quotidiane di tutti i giorni, e non sono marziani, e poi che questi stessi vanno possibilmente incontrati con la volontà di offrire una “chance” di cambiamento in positivo, in meglio, alle nostre vite. Le due prospettive si uniscono: succede spesso infatti, ad esempio, che ad essere ricercati, inseguiti, coccolati da una folla di estimatori e fan siano “influencer”, divi e star che fanno delle loro esistenze eccessive, trasgressive e vuote il messaggio principale rivolto alle masse.
Come e dire: non serve, non è utile, non è alla moda possedere ed esercitare valori di fondo, visioni ampie, virtuosità di comportamenti per vite in pienezza. E’ sufficiente giocare al ribasso, fare ciò che aggrada e godere tutto il possibile senza curarsi di conseguenze fisiche, morali e sociali per se stessi e per le esistenze altrui. Di fatto, un’affermazione in solitaria del proprio egoismo e dell’unica inclinazione al profitto e alla presunta felicità individuale, a qualunque costo. Eppure, per fortuna, non è questa la regola, non è questa la prassi più diffusa e condivisa, non è questa la prospettiva che muove il mondo e lo rende quotidianamente spazio buono da abitare, da amare e da far progredire.
Ci sono infatti i “migliori”, coloro che ogni giorno accettano la sfida di lavorare sinceramente su se stessi e di poter contribuire a rendere più umana, confortevole e buona la vita di tutti. Lo fanno senza proclami, senza telecamere, senza alzare il tono di voce, senza aspirare a visibilità e riconoscimenti. Semplicemente, perché hanno deciso che è il loro dovere, l’espressione concreta del loro senso di appartenenza al genere umano e alla comunità, la loro manifestazione di relazione giusta e attenta con il prossimo circostante. Parlando con loro, chiedendo a loro le ragioni di questa attitudine e di questi sentimenti, essi rispondono tranquillamente che non potrebbero fare diversamente, perché si tratta di una questione identitaria, costitutiva, di essenza personale. Esistono dunque i migliori, e noi siamo assolutamente lieti che siano parte integrante, di riferimento, di esempio, sempre attiva e disponibile per dare valore, calore e sostegno alla vita della comunità. Come direbbe il teologo Olivier Clément, sono quei protagonisti “sconosciuti la cui bontà disinteressata, la cui forza calma, la cui presenza gioiosa e rassicurante, la cui umile capacità non solo di servire ma anche di creare, ne fanno dei rammendatori dell’esistenza universale, incessantemente lacerata dalle potenze perverse del nulla”.
E sono proprio loro da riconoscere, ricercare, valorizzare, promuovere, prendere a modello, non gli altri, quello che non hanno nulla da dire e da donare alle vite di tutti: dipende solamente dalla nostra volontà. Dobbiamo infatti volere, desiderare, ambire, aspirare a questi incontri con i migliori, convinti che diventeranno occasioni uniche, rare e privilegiate per cambiare in meglio la nostra umanità. Dicendo grazie alla fine, come hanno fatto pubblicamente in queste ore gli amici dell’associazione di Sammy Basso, straordinario esempio di coraggio, di amore e di positività, che nell’ora dolorosa del congedo terreno del notissimo ricercatore veneto hanno espresso commossi la loro profonda riconoscenza per aver incontrato una persona speciale e aver condiviso i giorni, gli ideali e la bellezza di una vita in pienezza.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
(Foto: archivio Qdpnews.it)
(Articolo di proprietà di Dplay Srl)
#Qdpnews.it riproduzione riservata