Il tema è rimbalzato proprio in questi ultimi giorni sulle pagine di un grande quotidiano nazionale, nella rubrica dedicata alle lettere e ai colloqui con i lettori. Si denuncia pubblicamente, per l’ennesima volta, il degrado dei rapporti umani, il venir meno di regole che dovrebbero essere acquisite e scontate in termini di educazione, l’imperversare diffuso in paesi e città di cattive abitudini nei comportamenti delle persone, che mettono in discussione l’idea di una comunità ordinata e matura nella sua sostanza e nella sua immagine.
Infatti, è tutto un elenco di maleducazioni, trasgressioni, sgarbi, prepotenze e piccole sopraffazioni quotidiane che avvelenano il clima sociale, affaticano, feriscono, inquietano e fanno tristi gli individui. E’ come se da diverso tempo, ormai, si faticasse a ritrovare il senso vero dell’educazione trasmessa di generazione in generazione, imperniata sul rispetto reciproco, le parole e i gesti doverosi di cortesia, la concreta e serena gentilezza come prassi e stile per edificare, costruire, unire. Sullo sfondo, un nervosismo carico e fremente, che scatta e provoca danni per le vicende più insignificanti.
E’ come se l’insofferenza e l’ira si fossero impadronite di tante vicende umane, ispirando e giustificando atteggiamenti negativi e distruttivi della tanto ricercata coesione sociale. Non si riesce più rispettare il bene comune, e dall’altro lato a tollerare, a sopportare, a lasciar perdere.
Anzi, siccome tutto è riferito alla “verità assoluta” del proprio “io”, si dà vita a una interpretazione del tutto parziale delle norme che regolano la convivenza civile, per cui la ragione in ogni controversia risiede insindacabilmente in quello che si è detto e fatto personalmente, comunque. Senza tener conto delle regole generali, di legge e di buon senso, delle ragioni altrui, dei motivi in capo al prossimo, della necessità di lasciar perdere a un certo punto per evitare lo scatenarsi di conflitti insanabili. Dalla pulizia al decoro mancati, dai bullismi ai rumori molesti ai modi inurbani, dalle usanze antipatiche alle scortesie palesi, dalla mobilità scriteriata alle volgarità consumate in tanti ambienti pubblici, è tutto un fiorire di comportamenti maleducati, perniciosi e offensivi, che a volte giungono al punto di intimidire e minacciare persone assolutamente tranquille e a modo, costrette a subire le spavalderie e le angherie di singoli e gruppi organizzati nel segno dell’egoismo oltraggioso e prepotente.
E pensare che con la pandemia avevamo giurato a noi stessi che saremmo cambiati, in meglio, convinti come eravamo che la terribile esperienza vissuta ci avrebbe messo nella condizione di stabilire finalmente un ordine di priorità, di valori, di affetti, di solidarietà sociale, di nuovi assetti, perché provati dalla sofferenza, dal dolore, dagli effetti di una tragedia collettiva di proporzioni e costi immani.
Avevamo ribadito in tanti momenti e in molte sedi proprio questo: la volontà di modificare degli standard del vissuto quotidiano, personale e comunitario, che già avevamo visto peggiorare negli ultimi anni. Ci eravamo impegnati a far tesoro di questa tragica lezione della pandemia: essa ci aveva messo di fronte alla verità che “nessun uomo è un’isola, nessuno si salva da solo”, per cui si generava inevitabilmente la necessità di ricostruire al meglio comportamenti sociali corretti e benevoli, con un di più di gratuità e di generosità che facessero risaltare la bellezza di un nuovo umanesimo per i tempi moderni.
E invece, forse, abbiamo dimenticato tutto troppo in fretta, non ci siamo curati di ridare significato e valenza alle realtà decisamente importanti per la nostra vita in relazione, e abbiamo ripreso la nostra normalità con uno “stress” emotivo aumentato di molto, quasi a voler recuperare in fretta, senza tante formalità e attenzioni per gli altri, il tempo perduto, le occasioni mancate, le cose non realizzate e i traguardi non raggiunti durante gli anni difficili del covid. Autoreferenziali come sempre. Con una marcia in più, in negativo, si potrebbe dire. Alla fine ne è uscito violato, ferito e malconcio il concetto stesso di “buona educazione”, quella consegna di regole, attenzioni e sane maniere di comportamento, accettate e condivise, che consentono a una comunità di vivere pacificamente nella legalità, nella tolleranza, nel reciproco rispetto e nello spirito di cooperazione dei suoi componenti. Forse è proprio il caso – come sostenevano i preoccupati lettori i cui sopra – di rimettere tutto questo come tema centrale a livello di opinione pubblica, per cercare innanzitutto di porre un freno a forme largamente diffuse di dissipazione e di degrado, e poi di rilanciare la questione “emergenza educativa” per l’oggi e il domani della nostra società, a partire dalle nuove generazioni e dai luoghi della famiglia, della scuola, dello sport e del tempo libero. Cercasi persone educate, dunque, perché abbiamo tutti la responsabilità della costruzione di un vivere civile che promuova e valorizzi al meglio la migliore umanità, dentro e fuori di noi.
Perché la pace, tanto agognata e ricercata in questo tempo faticoso di tragici conflitti e aperti bellicismi sullo scenario internazionale, comincia sempre dalla mente e dal cuore di ciascuno di noi. E diventa realtà in casa e sotto casa, in strada, negli ambienti più vari delle nostre esistenze, rispettando le vite degli altri.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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