Si è appena celebrata l’11 gennaio scorso, ma si tratta di un evento che dovrebbe essere ricordato con valore assoluto ogni giorno, tutto l’anno: si tratta della Giornata internazionale del “grazie”, la famosa parola che troppo spesso sfugge alla nostra considerazione e al nostro utilizzo.
Non sfugge infatti alla realtà quotidiana delle nostre relazioni che il termine classico e semplice della riconoscenza, il famoso “grazie”, rischia ormai di apparire desueto, fuori contesto, fuori moda. In pratica, stretti e costretti entro i tempi rapidi, urgenti ed esigenti del nostro lavoro e della nostra vita sociale, non riusciamo quasi più a pronunciare la fatidica parola “grazie”, per testimoniare la nostra riconoscenza per il piacere ricevuto, la gentilezza donata, la buona opera realizzata, il tempo speciale dedicato alla propria persona.
Insomma, facciamo tanta fatica a pronunciare la fatidica espressione verbale, anche quando sarebbe naturale e doverosa. In più, troppo spesso, ci dimentichiamo di compiere quel bel gesto che potrebbe essere la telefonata, il messaggio, il breve scritto di gratitudine per essere stati i destinatari di cose belle, appositamente pensate e realizzate dalle altre persone a nostro esclusivo favore.
Si profila dunque come una vicenda tormentata, più volte non a lieto fine, la questione del “grazie” in questa nostra epoca così confusa e distratta, che sembra aver relegato questa preziosa consuetudine fra i retaggi del passato.
E c’è il rischio che non basti una giornata mondiale per ricordare tutta la sua importanza: occorrerebbe infatti un richiamo costante nelle felici prassi di relazione fra le persone, in un capitolo di educazione civica che mettesse in luce il valore e il significato di questo atteggiamento di fondo positivo e propositivo verso il prossimo.
Tra l’altro, parliamo di una parola che ha mille declinazioni nelle diverse lingue del mondo – thank you, merci, Dankeschon, ad esempio – ma è l’unica per cui non bisogna essere poliglotti a tutti i costi per intenderla.
Del resto, essa viene accompagnata spesso da un sorriso o da un leggero inchino del capo. Essere riconoscenti e grati ha anche i suoi benefici: accresce positività e volontà, è un toccasana per l’umore, incrementa l’efficienza sul lavoro e migliora anche la salute.
Il ricercatore Robert Emmons, dell’University of California, ha compilato infatti una lista di benefici effetti sulla mente e sul fisico provocati dalla riconoscenza consapevole: praticare questa bello stile nei rapporti umani abbassa di molto i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, riduce i sintomi di infiammazione nei pazienti con insufficienza cardiaca, combatte la depressione, diminuisce la pressione sanguigna e migliora la qualità del sonno.
Il grande teologo e filosofo cristiano Tommaso d’Aquino identificava tre diversi livelli della gratitudine: la riconoscenza per il beneficio ricevuto, la lode verso colui che lo ha reso possibile e infine la disponibilità a ricambiare. A riguardo, è interessante verificare come le lingue, con i diversi modi di ringraziare, mettano in evidenza uno dei tre aspetti citati .
Ad esempio, l’inglese “thank you”, il tedesco “danke” e l’olandese “dank je” derivano dall’arcaico “thanc”, che significa “pensiero”: queste lingue sottolineano il risultato dell’azione, concentrandosi quindi sul primo livello della gratitudine.
L’italiano “grazie” e lo spagnolo “gracias” derivano invece dal greco “chàris”, parola usata per indicare l’essere contento, lo stare bene, ed esaltano chi ha compiuto il gesto, orientandosi quindi maggiormente verso il secondo livello. Lo stesso vale per il francese “merci”, che etimologicamente significa “pietà”.
Le lingue che invece richiamano maggiormente il vincolo morale a ricambiare sono il portoghese con “obrigado” (participio del verbo obrigar, dal latino obligare) e il russo con “blagodarju vas”.
In altre parti del mondo, invece, la questione si fa ancora più varia: ad esempio, a causa della complessità del concetto di gentilezza, in Giappone esistono molti modi per ringraziare, addirittura se ne contano ventuno.
In generale, in ogni caso si coglie il fatto che la parola è conosciuta e riconosciuta in campo planetario, viene apprezzata per il suo valore, è la naturale conseguenza di un’attitudine favorevole stimata e diffusa nei rapporti fra le persone, è l’indicazione semplice, ma altrettanto importante, di uno spirito attento alle dinamiche relazionali e di vita buona.
Non esistono fratture e barriere per la parola “grazie”: è universalmente accolta, e rappresenta un fattore di squisita eleganza che nulla chiede e pretende, ma che a tutti si offre con generosità e simpatia.
È la traduzione di un vivere civile impostato secondo criteri di gratuità – certo, “gratis”, non a caso, è espressione latina di “gratia”, ossia graziosamente, per favore – che supera il mero calcolo, i criteri di opportunismo e di convenienza, e diventa simbolo di uno stile di nuovo umanesimo sempre più auspicato e ricercato al giorno d’oggi.
Infatti, meno appaiono nella prassi la parola e la forma del “grazie”, e più vengono apprezzate nei gesti che ancora in molti – per fortuna – sanno compiere. E così, nel segno della gratitudine, ci rinnoviamo gli auguri per un anno nuovo veramente speciale.
(Autore: redazione Qdpnews.it)
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