Due cuori (appassionati) e una capanna. Un modo di dire che, visto anche l’approssimarsi della Festa di San Valentino, ben si attaglia ai protagonisti di questa impresa, anzitutto culinaria.
Le due anime affini sono quelle di Nicola Dinato, 43 anni, chef patron del ristorante Feva di Castelfranco Veneto, e della moglie Elodie Dubuisson, titolare e direttore generale. La “capanna” è in realtà proprio il locale di Borgo Treviso (già premiato nel 2015 con una stella Michelin), una splendida barchessa con ampio parcheggio, parco e orto, aperta nella Città del Giorgione (a proposito di eccellenze) dopo un lungo girovagare per il mondo, a contatto diretto con alcuni dei più grandi maestri della gastronomia internazionale (Alain Ducasse e Ferran Adrià, per citarne solo un paio).


Abbiamo fatto una chiacchierata proprio con chef Dinato, che ci ha raccontato di come sia riuscito a sviluppare una cucina che combina tradizione e innovazione, fortemente legata al territorio veneto e alla sostenibilità…senza dimenticare il suo “cavallo di battaglia”: la famosissima “aria fritta“.
Puo’ raccontarci un po’ la sua storia di chef e quella del locale? Com’è nata l’idea di Feva?
“Feva nasce nel 2011 dalla volontà mia e di mia moglie Elodie. Dopo aver viaggiato un po’ in giro per il mondo, ci siamo conosciuti a Londra, poi ci siamo spostati in Costa Azzurra, io da Ducasse al Le Louis XV, poi a El Bulli da Ferran Adrià, poi siamo andati in America. Infine, dopo sei anni di vagabondaggio, abbiamo deciso di fermarci e abbiamo scelto Castelfranco, perché comunque io ho studiato qui, sono originario di queste zone e Castelfranco è un crocevia di provincie, quindi ci sembrava ideale il luogo. Abbiamo visto questa barchessa e ci siamo un po’ innamorati: avevamo già pensato una cucina a vista, con tutto a vista anche dalla strada e questo era un po’ il nostro concetto. C’era anche un bel parcheggio grande e quindi le basi per iniziare qui il nostro progetto”.
Che cosa caratterizza i vostri menù e qual è in generale il legame con il territorio?
“Il legame con il territorio è molto forte perché da sempre noi siamo vicini, molto vicini ai produttori locali, ai micro produttori. Abbiamo anche una grossa parte della nostra produzione che facciamo autonomamente, anche grazie a un ettaro di terra dove coltivo grano, 5 grani antichi e varie erbe aromatiche.


Abbiamo qua un orto in parco e i nostri menù degustazione si distinguono in ‘anima’ e ‘corpo’. Anima è il menù, diciamo, a mano libera: viene realizzato in base alla reperibilità della materia prima del momento e da lì si crea. E’ dunque in continua evoluzione, cambia costantemente. Il ‘corpo’ sono invece i classici a cui, dopo 13 anni di attività, i nostri clienti si sono affezionati: li rivolgono, vogliono ritrovarli. Lo cambiamo due volte l’anno”.
Ci puo’ parlare del tuo marchio di fabbrica, l’aria fritta?
“L’aria fritta è nata come una provocazione. Vi racconto com’è andata: due ragazzi giovani erano seduti a tavola e il maître mi diceva che non erano interessati a quello che mangiavano, ma stavano tutto il tempo sul telefonino. Ho pensato: ‘Che senso ha così? Il convivio, lo stare a tavola viene meno’.


E da lì è partita l’idea, che rappresenta un po’ quest’epoca, questo momento storico in cui tutto è molto veloce, fruibile, però non rimane niente. Da qui l’idea di aria fritta, che per essere concretizzata ha richiesto un po’ di prove finché, finalmente, è uscita questa nuvola di tapioca, poi evoluta con dell’ozono. L’abbiamo messa in osmosi con dell’ozono per rievocare quella sensazione di alta montagna, di alta quota, di neve, di temporale, che ti ricorda l’aria e poi fritta e ovviamente asciugata. E questo, paradossalmente, è diventato virale proprio grazie all’uso dei social di cui voleva denunciare alcuni eccessi. Non è comunque un piatto, ricordo, ma un cicchetto, un’entratina di benvenuto, uno snack che viene accompagnato poi a una maionese vegana di sesamo nero. Un grande classico nostro sono invece i paccheri alla carbonara di canestrelli e pesto di ricci di mare: un piatto sostanzioso, iconico, che non viene mai tolto dall’apertura”.
(Autore: Alessandro Lanza)
(Video e foto: Simone Masetto)
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