Il Consiglio di Stato ha stabilito che rientrano nei poteri dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) tutti i casi previsti dall’art. 14 D.Lgs. 124/2004, compresa la violazione del datore di lavoro in materia di contratto collettivo.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro è legittimato a modificare il livello di inquadramento della categoria contrattuale di alcuni dipendenti rispetto a quello disposto dal datore di lavoro? È il quesito a cui ha cercato di dare risposta la sentenza del Consiglio di Stato 21.03.2024, n. 2778. Oggetto del contendere è l’art. 14 D.Lgs. 124/2004 che recita, al comma 1: “Il personale ispettivo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative”.
E dunque, le irregolarità derivanti dalla violazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro rientrano nelle previsioni della norma citata? I giudici del Consiglio di Stato sottolineano innanzitutto che il potere esercitato dagli ispettori del lavoro ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 124/2004 si manifesta con un provvedimento amministrativo che ha i connotati della definitività e dell’immediata lesività per la parte alla quale è indirizzato; il provvedimento, infatti, fa scattare immediatamente l’obbligo del datore di lavoro di mettersi in regola e chiudere il procedimento; incide sulla sfera giuridica del destinatario imponendogli un facere, pena la comminatoria di una sanzione.
Il decreto, dunque, non ha voluto sanzionare l’omissione o le irregolarità rilevate, ma soltanto “la volontà di non conformarsi all’ordine di fare o di ripristinare la regolarità; in altri termini, l’organo ispettivo intima al datore di lavoro di eliminare l’irregolarità rilevata, concedendo un termine per adempiere, e solo in caso di mancata ottemperanza si applica la sanzione”.
Entrando poi nel merito della questione, la sentenza propone un confronto tra l’art. 14 del Decreto in oggetto con il precedente art. 13: quest’ultimo “individua (al comma 2) anche in positivo le norme (di legge o del Contratto collettivo) la cui violazione porta a infliggere la sanzione ai sensi del comma 3, mentre l’art. 14 fa riferimento alla materia (di lavoro e legislazione sociale) alla quale la disposizione si applica; nonostante tale diversa tecnica redazionale si deve ritenere, ad avviso del Collegio, che anche l’art. 14 si riferisca alle norme della legge o del Contratto collettivo atteso che il D.Lgs. 124/2004, laddove abbia inteso delimitare il proprio ambito di applicazione,
lo ha chiarito espressamente, con la conseguenza che nel silenzio della disposizione pare poter estendere ai “poteri di disposizione” nelle “materie di lavoro e legislazione sociale” lo stesso ambito di applicazione dei “poteri di diffida” dell’art. 13”.
Rileva, infine, il collegio che l’art. 14 non ha inteso introdurre un’ulteriore limitazione alla propria applicazione, da aggiungere “ai casi in cui la fattispecie sia già oggetto di sanzione amministrativa e penale”, id est le ipotesi in cui per il lavoratore sia prevista una forma di tutela.
Al contrario, la scelta di includere tra le “irregolarità” che possono formare oggetto del provvedimento di disposizione anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro esprime una valutazione dell’ordinamento di rilevanza pubblicistica dell’esigenza di una piena ed effettiva applicazione degli stessi, tale da meritare attenzione a livello amministrativo anche indipendentemente dalle reazioni e dalle iniziative civilistiche dei singoli lavoratori interessati.
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Autore: Giorgia Granati – Sistema Ratio Centro Studi Castelli