Rendicontazione di sostenibilità delle imprese

Gli standard applicabili alla luce della disciplina nazionale e comunitaria.

Nel 1987 la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo del programma delle Nazioni Unite ha declinato una definizione di sostenibilità, asserendo che “lo sviluppo sostenibile è in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere le generazioni future di realizzare i propri”.

In tale ottica la sostenibilità è ispirata da tre fattori interdipendenti tra loro, ovvero: ambientale attraverso il quale si persegue l’obiettivo di controllare e ridurre l’impatto ambientale, sociale con il quale si tende a garantire un benessere all’interno di un sistema (esempio sicurezza, lavoro, istruzione, ecc.) ed economico con il quale si deve tendere alla crescita generando e mantenendo reddito e lavoro che assicuri il giusto sostentamento. I fondamenti della sostenibilità innanzi detti sono ormai aspetti presenti nell’egida aziendale e senz’altro producono benefici alle stesse non solo in termini etici, ma anche in termini economici e di crescita.

Le aziende nel tempo, con il fine di mostrare il loro impegno verso la sostenibilità, hanno ricorso in modo volontario alle certificazioni esistenti, quali ad esempio: ISO 14040 e 14044 (Life Cycle Assessment) che analizzano il ciclo di vita dei prodotti; ISO 14020 e seguenti per l’etichettatura ecologica, con lo scopo di ridurre l’impatto ambientale. Si è visto come l’Unione Europea ha emanato nel tempo una serie di direttive e regolamenti (537/14; 2044/109/Ce; 2006/43/CE; 2013/34/UE) con la quale ha previsto per alcune aziende l’obbligo di redigere la rendicontazione di sostenibilità; con la direttiva 2022/2464 (CSRD acronimo di Corporate Sustainability Reporting Directive ) che modifica i documenti Ue citati, è stata ampliata la platea di aziende che saranno obbligate alla rendicontazione di sostenibilità e si stima che in Italia si passerà dai 200 a 5.000 soggetti coinvolti. Le norme di cui alla direttiva comunitaria, in vigore dal 5.01.2023 , oltre alla estensione della platea delle imprese obbligate alla redazione del rendiconto, che ne prevede l’obbligo per le imprese di grandi dimensioni e le PMI quotate escludendo le microimprese, individua quelle che sono le finalità della rendicontazione.

È possibile dedurre dai provvedimenti Ue che le informazioni da fornire per le imprese obbligate riguarderanno questioni ambientali con riferimento ad alcuni temi (es. economia circolare); questioni sociali/diritti umani (esempio condizioni di lavoro , parità di trattamento, ecc.); questioni che riguardano la governance aziendale (esempio organi amministrativi). Il modello di rendicontazione dovrà essere uniformato al c.d. principio della doppia rilevanza ( double materiality) e le imprese nella comunicazione fornita dovranno tener conto dell’impatto delle attività esercitate su persone ed ambiente, nonché in che misura il tema della sostenibilità incide sull’impresa. Il modello di rendicontazione andrà riportato in specifica sezione della relazione sulla gestione e certificato da un revisore o da una società di revisione contabile per attestarne l’affidabilità ed il rispetto delle regole comunitarie. La direttiva ha inoltre previsto le modalità con le quali le imprese obbligate alla rendicontazione debbano adeguarsi, sancendo quanto segue: 1.01.2024 per le imprese già soggette alla rendicontazione; 1.01.2025 per le grandi imprese; 1.01.2026 per le PMI quotate; 1.01.2028 per le imprese extra Ue con ricavi netti di vendita superiori ad euro 150 milioni in presenza di un’impresa controllata nell’U.E.

Nella redazione del rendiconto l’impresa dovrà attenersi agli standard ESRS (acronimo di European Sustainability Reporting Standard ), in corso di emanazione da parte dell’EFRAG e che saranno pubblicati con apposita direttiva/regolamento entro il 30.06.2023; per le PMI obbligate gli standard saranno pubblicati entro il 30.06.2024.

Infine è opportuno fare un breve cenno su chi può essere destinatario delle informazioni riportate sul rendiconto; si possono individuare tra i beneficiari delle informazioni gli investitori, i soggetti della società civile (esempio parti sociali) oppure coloro che prendono in esame i dati per confrontarli tra aziende, nonché gli istituti di credito che possono riconoscere un eventuale merito creditizio in ragione di investimenti sostenibili, come richiamato nelle linee guida della European Banking Authority.

Si è visto come per le PMI non quotate non sussista l’obbligo del rendiconto, ma ciò può avvenire su base volontaria, producendo nella relazione sulla gestione il rendiconto sulla sostenibilità, magari ricorrendo ai parametri previsti dal GRI Standard (acronimo di Global reporting iniziative ) che fanno riferimento ad aspetti ambientali, sociali ed economici. La formazione del rendiconto consente di abituarsi già a qualcosa che in futuro potrà essere obbligatorio e consente ai terzi, compresi gli istituti bancari, di analizzare il profilo dell’impresa.

Autore: Giuseppe Proietti B. – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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