Gli obiettivi sono cambiati nel corso della storia e oggi rappresenta una priorità l’impegno di preservare il mondo dall’autodistruzione, piuttosto che stravolgerlo nella ricerca di un cambiamento.
Uno dei cardini del pensiero illuminista sta nella tendenza dell’uomo verso l’esercizio di un dominio “consapevole” della natura, orientato alla soddisfazione dei propri bisogni. Qualunque eventuale credenza fondata sulla tradizione è letta come mera superstizione e, in quanto tale, assolutamente inefficace.
L’essere umano e la natura, dunque, sono concepiti nella loro separazione, e la pericolosità di quest’ultima lo prova.
Quello che è in grado di preservare la natura umana è la ragione, strumento di difesa tutt’altro che illusorio e motore dello sviluppo imprenditoriale.
Questa facoltà, già presente agli albori della società occidentale, si è ulteriormente rafforzata a partire dalla genesi della concezione moderna della scienza e della tecnica. Il filosofo inglese Francis Bacon ha concepito la scienza come diretta alla realizzazione di un controllo dell’uomo sulla natura. Tale formula, ampiamente sposata e condivisa dalla storia, se da un lato si presta certamente al suo obiettivo principe (far sparire nell’uomo la paura del mito), dall’altro apre le porte ad una progressiva tecnicizzazione della società, totalizzante dal punto di vista economico e sociale, che potrebbe peròtramutarsi facilmente in meccanizzazione, finendo cioè col prescindere dall’immaginazione e dal sentimento (anch’essi basi del mito) e privando con ciò l’uomo della spinta interna necessaria ad affrontare scelte individuali e sociali con la lucidità e la coerenza dovute.
L’illuminismo come corrente filosofica individuava nella ragione il motore totalizzante dell’universo, a cui tutto era riconducibile perché generato dalla stessa. Persino gli elementi vitali delle cosmologie presocratiche (l’aria, l’acqua, il fuoco, l’indistinto), individuati dalle stesse come vera e propria materia prima della natura, assumono nel pensiero illuminista la conformazione di residui razionalizzati della concezione mitica. In quanto tali, appaiono razionalizzabili e, quindi, plasmabili in tutte le manifestazioni umane, come elaborato successivamente dalla filosofia.
Nella “Fenomenologia”, Hegel individua un pericolo di autodistruzione insito in ogni fede e convinzione, che trae forza dal vano tentativo operato dall’idea di sostenersi attraverso una precisa ricostruzione storica. Nietzsche completa l’opera rilevando nel pensiero illuminista una bivalenza assolutamente dannosa per l’uomo e la società: in questo tipo di cultura si manifestano contemporaneamente sia la capacità dell’uomo di governare il cosmo, sia una tendenza nichilistica ostile alla vita: “la ragione illuminata finisce essa stessa per svelarsi come mito, ed è quindi costretta a negare sé medesima”.
Così, nella società borghese, troviamo allo stesso tempo sia la capacità di “unione”, sia la frammentazione sociale. Una classe organizzata di persone è in grado di sovvertire l’ordine dei privilegi aristocratici (fondati su gerarchie di nascita) con l’instaurazione di una sorta di meritocrazia basata sul lavoro e sullo sviluppo economico, portando alla ribalta l’autonomia dell’individuo, e la stessa classe di persone, nel definire l’universalità degli uomini con il loro rapporto con la natura attraverso il lavoro e l’imprenditorialità, crea emarginazione e una società basata su classi con interessi contrapposti, generando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e, attraverso la conseguente conflittualità, l’isolamento da cui siamo partiti nella nostra riflessione.
Ecco allora dove si inserisce l’ipotesi che abbiamo anzitempo avanzato riguardo il riappropriarsi del mito, visto come capacità dell’uomo di gestire l’irrazionale in quanto tale, traendo semmai da esso una capacità di analisi, di ribellione, di coerenza con se stessi, e proiettandolo verso uno sviluppo che, senza disconoscere i lati positivi della società occidentale, sia in grado di produrre un miglioramento (in ogni caso perseguibile) tanto individuale che collettivo.
Il mito classico di Prometeo, ripreso ed interpretato nel corso dei secoli, incarna con la rappresentazione di Shelley (“Prometeus Unbound”, 1819-1820) tale ideale romantico: la perfettibilità dell’uomo, il coraggio di ribellione al dio oppressivo in nome della libertà, la rinnovata fiducia nella scienza e, prima ancora, nella ragione.
Interrogandosi sul significato contemporaneo del mito di Prometeo, lo scrittore Albert Camus rilevava come, forse, gli obiettivi dell’uomo, anche imprenditore, siano cambiati nel corso della storia e oggi rappresenti una priorità l’impegno di preservare il mondo dall’autodistruzione piuttosto che stravolgerlo nella ricerca di un cambiamento. In quest’ottica, il rapporto dell’uomo con l’immaginario, il pensiero, la fantasia e soprattutto la libertà in tutte le sue forme non rappresentano un ostacolo.
Semmai, uno stimolo: l’apertura di una strada per una sorta di umanesimo del nuovo millennio, caratterizzato dalla sfida dell’individuo, dell’impresa e della società di affrontare l’assurdo e l’irrazionale mediante un giudizio lucido e una rinnovata, quanto mai coraggiosa, coerenza rispetto al ruolo ambientale e sociale.
Autore: Cristiano Corghi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli