Il lavoratore ha diritto alla pausa, il datore ad organizzare l’azienda. Occorre regolamentare questi diritti fondamentali come salute/benessere/efficienza per il lavoratore e organizzazione/produttività per l’azienda.
L’art. 8 D.Lgs. 66/2003 ha previsto al c. 1 un “intervallo pausa” solo nel caso in cui l’orario di lavoro ecceda il limite di 6 ore, per il recupero delle energie psicofisiche, per la consumazione del pasto e per attenuare la monotonia e la ripetitività delle mansioni; al c. 2 rinvia la disciplina alla contrattazione collettiva in assenza della quale dispone che la pausa deve avere durata non inferiore a 10 minuti tra l’inizio e la fine di ogni periodo di lavoro giornaliero tenendo conto delle esigenze produttive. Il c. 3 precisa che la pausa non rientra né nell’orario di lavoro né nel periodo di riposo giornaliero; essendo periodo di non lavoro, non è retribuita salvo casi di forza maggiore e non può essere sostituita da indennità economiche.
Occorre anzitutto rispettare le previsioni del proprio Ccnl; i Ccnl prevedono in genere diverse tipologie di pause, di diversa durata in base all’orario di lavoro, per particolari mansioni o uso di strumentazione o macchinari. Inoltre, gli accordi aziendali sottoscritti in sede sindacale (art. 17, c. 1 D.Lgs. 66/2003) possono anche derogare le disposizioni di legge.
1. Pausa di 10 minuti: conosciuta come “pausa caffè” o “pausa sigaretta”, non inferiore a 10 minuti proprio per recuperare le energie, rilassarsi, parlare con i colleghi, concessa sul posto di lavoro o anche in altro posto autorizzato, in qualsiasi momento della giornata lavorativa tenendo conto delle esigenze e del normale proseguimento del lavoro, usando reciproco buon senso. La pausa è retribuita art. 5 R.D.1955/1923 se inferiore a 10 minuti esempio per esigenze fisiologiche del lavoratore. Nel caso di lavoratrice in allattamento, ricordiamo che i riposi per allattamento sono in generale considerate ore lavorative ai sensi dell’art. 39, c. 2 D.Lgs. 151/2001; il Ministero del Lavoro ha specificato (interpello 16.04.2019, n. 2) che le ore di riposo per allattamento non vengono considerate utili ai fini del limite di 6 ore giornaliere, al superamento delle quali scatta il diritto ai 10 minuti di pausa. Per esempio, se la dipendente ha svolto 5 ore di lavoro e 2 ore di allattamento (7 ore orario teorico) non spettano i 10 minuti di pausa previsti dalla legge.
2. Pausa pranzo: come ribadito dalla C.M. Lavoro 8/2005 è un diritto, anche molti Ccnl la prevedono obbligatoria, non retribuita, in genere non inferiore a mezz’ora e non superiore a 2 ore e non frazionata.
3. Altre pause obbligatorie: per gli addetti ai videoterminali (D.Lgs. 81/2008, art. 175) è prevista una pausa tassativa per prevenire disturbi posturali o visivi di 15 minuti ogni 2 ore, ma con possibilità di cambiare attività, non necessariamente sospenderla, quindi staccarsi dal videoterminale. Per gli addetti al trasporto merci o persone è prevista per garantire sicurezza una pausa per riposo di 30 o 45 minuti se orario tra 6 e 9 ore o superiore alle 9 ore.
4. Pausa esclusa: ai lavoratori con funzioni direttive (senza vincoli di orario), ai collaboratori familiari, telelavoratori, lavoratori a domicilio, lavoratori mobili. Pausa pranzo esclusa alle mamme lavoratrici che godono dei riposi giornalieri per allattare che lavorano 5 ore e 12 minuti al giorno (interpello ISPRA n. 2/2019 ).
Come considerazione conclusiva, evidenziamo che la pausa aiuta il lavoratore a ridurre lo stress fisico-mentale, tutela la salute, aiuta a concentrarsi, a rapportarsi e migliorare i rapporti con i colleghi, ad avere un buon umore, mentre l’azienda riceve maggiore efficienza e produttività. Quindi regolamentare la pausa significa raggiungere reciproci benefici.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Carlotta Mariani, Pierluigi Mariani – Sistema Ratio Centro Studi Castelli