La forza dei dati dell’ottimismo

Un’analisi dei fattori che hanno reso la nostra epoca la più pacifica della storia.

Chiacchierando sui tempi attuali, un amico mi ha segnalato il libro di un autore, uno psicologo, annoverato tra i 100 pensatori più influenti al mondo e sicuramente campione di ottimismo.

Steven Pinker, presente lo scorso anno al festival dell’ottimismo (non è un modo di dire, esiste veramente un festival!) ha scritto nel 2011 un saggio dal titolo “Il declino della violenza”, che come sottotitolo porta: “Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l’epoca più pacifica della storia”.

Con la forza dei dati, dalla preistoria ai giorni nostri, passando dal Medio Evo e con qualche inciampo su un paio di guerre mondiali, l’autore sembra dimostrare che, almeno negli ultimi 80 anni, stiamo vivendo il periodo più pacifico della storia dell’umanità.

Non facendo caso alla prima metà del ‘900, quasi tutti noi siamo consapevoli che, almeno in Italia e in Europa, abbiamo vissuto in una fortunata finestra della storia che ci ha permesso di raggiungere benessere generalizzato, o quasi, in concordia.

Pinker analizza alcuni fattori decisivi che hanno contribuito alla diminuzione della violenza, intesa in modo esteso.

Il 1° è l’ascesa dello Stato-nazione che assume il monopolio della violenza superando le violenze dei signori della guerra. Seguono: l’ascesa del commercio “gentile” fondato sulla cooperazione, l’ascesa di una prosperità generalizzata e del welfare, il prevalere del ragionamento scientifico e della ragione che vanifica la religione come causa di conflitto, lo sviluppo dell’alfabetizzazione, l’affermarsi dei diritti delle donne e delle minoranze.

Come 7° fattore Pinker cita anche l’ascesa del romanzo. Ora, considerando a parte il fattore della razionalità contro la religione, che sarebbe da approfondire viste alcune politiche decisamente irrazionali e il presunto declino della religione come fattore di conflitto, tutti gli altri fattori sono condivisibili.

Incuriosisce l’introduzione del romanzo, quindi della letteratura, come fattore di riduzione della violenza. Io interpreterei questo fattore come condivisione di una narrazione laica che ha favorito, in Europa, il superamento di secoli di guerre e violenze per regalare alla nostra generazione decenni di pace.

Il riferimento, a mio avviso, è ad Auschwitz, ai campi di concentramento e a quello che hanno rappresentato nella costruzione di una coscienza comune europea, condivisa nei racconti dei testimoni, dei libri, dei filmati. Il racconto di una barbarie ineguagliata nella storia ha contribuito a creare un elemento comune in popoli altrimenti divisi da lingue, tradizioni, politiche diverse.

Il racconto, attraverso una pluralità di strumenti del genocidio di ebrei e non solo, è diventato un amalgama culturale nel quale gli europei, al di là di divisioni, dell’incapacità di trovare strade comuni in molte decisioni, si riconoscono come appartenenti a uno stesso destino storico.

Ora, questo comune terreno non sembra sufficiente a costruire politiche comuni efficaci e condivise, ma è una narrazione di realtà che va preservata perché altrimenti si intacca un ambito di fondazione del convivere. È un discorso attorno al quale si possono costruire frasi del futuro intonate alla pace e alla tolleranza, un patrimonio che dobbiamo custodire gelosamente mentre vedo movimenti e opinioni che pericolosamente vogliono intaccarlo.

Non so se Pinker, dopo 14 anni dal suo libro e scrutando gli attuali orizzonti, manterrebbe ancora le sue posizioni. Da parte mia spero che non venga contraddetto dai fatti, perché una contraddizione nel suo discorso mi sembra di vederla: non sempre l’ottimismo deriva da razionalità. La stupidità che fa paura è sempre dietro l’angolo.

(Autore: Sistema Ratio)
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