Una sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Rovigo (sentenza n. 122/2024) offre la possibilità di un’indagine sulla natura delle somme: ossia se si tratta di danno emergente o di lucro cessante.
Per il giudice di Rovigo (sent. n. 122/2024) il raccordo causale della somma corrisposta per la perdita di chance professionali, fondate sull’aspettativa del lavoratore a proseguire la carriera professionale presso un importante Gruppo Bancario a seguito di un preciso impegno contrattuale sottoscritto tra la Banca e le OO.SS. poi non mantenuto, va ricondotto al paradigma “dell’indennità conseguente alla rinuncia della mancata percezione di redditi futuri e quindi alla natura di lucro cessante”. Per il Collegio di Rovigo: “Non può parlarsi di un danno emergente da perdita di chance atteso che la pretesa viene a fondarsi su una mera ipotesi non attuale, stabilito che con il danno emergente si ritiene risarcibile la perdita di sostanze e/o beni che sono nella disponibilità del danneggiato”.
A tale specifico proposito si ritiene di dover in primis rappresentare come sotteso alla configurazione del danno emergente non risieda solo un ripristino di un patrimonio materiale (denaro, beni e sostanze economiche) leso da una condotta illecita tenuta da un soggetto terzo, ma come ancor prima essa riguardi la lesione dei diritti alla personalità, ricongiunti dalla Corte UE al paradigma dei Diritti fondamentali dell’uomo, tutelati dalla fonte costituzionale europea e, quindi, inviolabili, inalienabili e ineludibili. Il danno che attiene alla perdita di chance di carriera per la giurisprudenza configura un bene giuridico autonomo, tipicamente personale, la cui lesione va sempre annoverata nella categoria del danno emergente. Esso assurge persino a danno plurioffensivo (in tal senso Cass. 2.01.2002, n. 10, Cass. 14.11.2001, n. 14199, Cass. 6.11.2000, n. 14443) in grado di generare non solo la violazione dell’art. 2103 c.c., ma anche la lesione del fondamentale diritto del lavoratore allo sviluppo della propria personalità, con generazione di danni non solo patrimoniali di tipo biologico o morale, ma anche di danni raccordati alla perdita di prospettive professionali legate alla svalutazione e al mancato accrescimento delle proprie competenze.
Se si ritenesse, come rinvenibile nella sentenza in commento, che il danno emergente attenga al solo ripristino di una consistenza di ricchezza materiale già detenuta (sostanze e/o beni già nella disponibilità del danneggiato), allora anche l’indennizzo monetario corrisposto a fronte di una sopravvenuta condizione di invalidità permanente non potrebbe riassumere la configurazione del danno emergente, dal momento che tale indennizzo non va a ristorare una perdita attuale di denaro, beni e sostanze economiche già detenute dal contribuente, per cui anche in tale caso varrebbe il generico raccordo del ristoro monetario con redditi futuri, non più guadagnabili a causa dell’attitudine lavorativa compromessa ed anticipati dalla somma indennitaria che andrebbe connotata come lucro cessante. Ma una tale connessione ermeneutica riuscirebbe solo a generare un contrasto persino frontale con l’ultimo inciso dell’art. 6, c. 2 del Tuir che specifica invece la natura di danno emergente di tale ristoro economico. Sullo sfondo di un indennizzo potrebbe sempre rendersi rinvenibile un reddito perduto (inclusa l’indennità per la perduta capacità lavorativa), ma l’indagine non deve raccordarsi semplicemente all’effetto sostitutivo di quest’ultimo, ma alla causa da cui esso deriva e se la causa è la lesione di un diritto alla personalità del contribuente, è a tale raccordo che l’indagine deve muovere ed è in tale raccordo causale che essa esaurisce il fondamento giustificativo della corresponsione indennitaria.
Il fondamento causale dell’erogazione della somma in questione si raccorda a una condotta illecita di manifesta inadempienza contrattuale che contravvenendo all’impegno preso ha precluso al lavoratore dipendente la possibilità di una più gratificante carriera professionale con più gratificanti aspettative economiche e tale lesione costituisce violazione di un diritto pertinente alla personalità del dipendente, rigorosamente tutelato dalla CEDU la quale a seguito del Trattato di Lisbona, ratificato e reso esecutivo con L. 2.08.2008, n. 130 è venuta ad assumere lo stesso valore giuridico vincolante del Trattato.
Anche la frase di chiusura della sentenza in commento merita di essere annotata per la sua stravaganza giuridica: “Ad ogni buon conto non trova comprensione il mutato atteggiamento della ricorrente che in un primo momento sottoscrive un accordo in cui viene stabilito di sottoporre tali somme ad una determinata tassazione, per poi sostanzialmente chiedere a questa Corte di accertare che le somme le sono state corrisposte ad altro titolo”.
(Autore: Luciano Sorgato – Sistema Ratio)
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