In attesa del salario legale minimo

Le indicazioni della Corte di Appello di Milano sui minimi retributivi in relazione al CCNL e alla soglia di povertà.

Tra i temi dove il dibattito è più acceso spicca la questione del salario legale minimo, spinta, oltreché da oramai risalenti agende politiche, dall’imminente definizione di una direttiva europea, a cui mancano pochi passaggi per la definitiva emanazione. Da tali premesse, con un margine di imprevedibilità dato dall’instabile quadro parlamentare, appare ormai certa l’emanazione di una normativa che fissi un minimo salariale legale, e non resta che attendere su quali presupposti e parametri concretamente si realizzerà. Al momento vede la presenza di una norma di rango costituzionale, l’art. 36, dove si stabilisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Come noto, al fine di realizzare quanto previsto da tale disposizione, dandogli carattere precettivo, la giurisprudenza ha utilizzato come parametro di riferimento i minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore.

Nell’attesa dei prossimi sviluppi, su tali questioni è interessante analizzare una pronuncia della Corte di Appello di Milano del 13.06.2022, dove si è affrontata la legittimità ex. art. 36 Cost. dei minimi previsti nel CCNL Vigilanza privata Servizi Fiduciari (Livello D1, con un minimo di 930 euro mensili lordi, al momento della causa).

In particolare, il caso riguarda la richiesta da parte di una lavoratrice di dichiarare la nullità dell’art. 23 del CCNL Vigilanza Privata Servizi Fiduciari in applicazione dell’art. 36 della Cost., correlata a un diverso trattamento retributivo non inferiore a quello del CCNL Multiservizi, richiesta rigettata in primo grado, in quanto veniva affermato che “la retribuzione prevista dai contratti collettivi gode di una presunzione di adeguatezza rispetto ai principi di proporzionalità e di sufficienza che trova il proprio fondamento nella considerazione del particolare ruolo che le parti sociali rivestono nel nostro ordinamento”, presunzione considerata non superata dagli argomenti e dai capitoli di prova presentati dal ricorrente e, in particolare, che la retribuzione prevista da tale CCNL era inferiore all’indice di povertà assoluta ISTAT e del 30%, come minimo, rispetto ad altri CCNL che regolamentavano mansioni compatibili.

La Corte in appello ribalta il giudizio di primo grado, sulla base delle seguenti considerazioni. Innanzitutto, viene sottolineato come il ruolo di sponda della contrattazione nazionale di settore nel fissare minimi conformi all’art. 36 Cost. sia entrato in crisi nel momento in cui vi è stato il proliferare di accordi (circa 1.000 CCNL al CNEL!) in medesime categorie, con dinamiche prossime al dumping sociale e alla concorrenza di convenienza tra le varie organizzazioni e profonde differenze retributive tra un CCNL e l’altro per settori e mansioni più o meno identici.

Entrando poi nel merito del CCNL Vigilanza Privata Servizi Fiduciari, la Corte di appello ritiene che la retribuzione prevista da tale CCNL non sia proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestata dalla appellante né sufficiente per garantire alla lavoratrice alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. In primo luogo è elemento essenziale il fatto che tutti gli altri CCNL astrattamente applicabili al medesimo settore produttivo, e contemplanti mansioni sovrapponibili a quelle della lavoratrice, garantiscono una retribuzione significativamente superiore. Nelle motivazioni della sentenza si sottolinea espressamente che il raffronto tra CCNL non è una forma di applicazione di un presunto principio di parità di trattamento, ma solo un meccanismo di verifica dell’adeguatezza della retribuzione.

Ulteriormente la Corte di Appello accoglie anche il motivo connesso con il raffronto con la soglia di povertà ISTAT, in quanto la retribuzione netta era inferiore a tale indice in modo significativo e, pertanto, “non era idonea a consentire al lavoratore di evitare di vivere in condizioni di povertà”. Tali considerazioni sono rafforzate anche dal fatto che la retribuzione netta del CCNL Vigilanza Privata Servizi Fiduciari è al di sotto anche dall’importo della retribuzione affinché un’offerta di lavoro sia considerata congrua ai sensi dell’art. 4, c. 9-bis D.L. 4/2019 (L. 26/2019) per i percettori del reddito di cittadinanza.

In chiusura, la Corte di Appello di Milano rileva come non vi sia, in tale procedimento interpretativo, alcuna lesione del principio di libertà sindacale previsto dall’art. 39 della Cost. Nel momento in cui si attesta che i minimi retributivi non sono rispettosi dei requisiti ex art. 36, l’autorità giudiziaria deve trovare un nuovo riferimento esterno, rappresentato da un diverso CCNL, esclusivamente da un punto di vista retributivo (nel caso oggetto di commento CCNL Multiservizi), senza incidere su altri aspetti della regolamentazione del rapporto previsti dal CCN originario.

In attesa, come detto, che venga introdotto il salario minimo legale, tale sentenza pone l’attenzione al fatto che l’applicazione di un CCNL, al di là delle ovvie questioni e spesso irrisolvibili sulla rappresentatività, non rende immuni da possibili contestazioni in ordine alla proporzionalità e sufficienza di un trattamento retributivo ex art. 36, soprattutto nel momento in cui, raffrontando altri trattamenti retributivi in diversi CCNL sovrapponibili per settore e mansioni, emerge una differenza significativa. In chiave prospettica, si spera che il nuovo salario minimo, che presumibilmente avrà agganci e aderenza con le previsioni della contrattazione collettiva, non generi ulteriori complicazioni nell’applicazione e gestione di quest’ultima.

Autore: Luca Vannoni – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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