Con ordinanza n. 25840/2024 pubblicata il 27.09.2024, la Corte di Cassazione ha confermato che, sulla base degli orientamenti comunitari, il pagamento del ticket mensa spetta al lavoratore anche quando è in ferie.
La Corte d’appello di Napoli rigetta il ricorso proposto da un ente datore di lavoro contro la sentenza del Tribunale di Benevento che, accogliendo la domanda di un dipendente, aveva condannato la società al pagamento in favore del lavoratore delle differenze relative al periodo delle ferie godute dallo stesso negli anni 2016/2021 per il complessivo importo indicato, oltre accessori dalla maturazione al soddisfo visto che in relazione al periodo di fruizione delle ferie annuali, egli non aveva percepito una retribuzione equiparabile alla retribuzione corrisposta nei periodi di servizio, in quanto non aveva ricompreso l’indennità perequativa, l’indennità compensativa e il ticket-mensa. L’azienda ricorre allora in Cassazione e la Corte si pronuncia con la sentenza in oggetto.
Inizialmente viene ribadito che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dall’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha precisato che con l’espressione “ferie annuali retribuite” ci si riferisce al fatto che deve essere “mantenuta” la retribuzione per tutta la loro durata, con ciò intendendo che “il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria” che gli è garantita nei giorni di lavoro.
La ratio è evitare che una diminuzione della retribuzione “potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione” che si propone di assicurare ai lavoratori “il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza”.
Di tali principi si è fatta interprete più volta la stessa Corte di Cassazione italiana, sottolineando che la retribuzione dovuta nei periodi di ferie, ai sensi dell’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, “comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore”; e ciò vale anche a riguardo del “compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l’indennità sostitutiva assolve” . Ciò dal punto di vista sostanziale.
Dal punto di vista formale, invece, gli Ermellini rammentano che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, sicché non può prescindersi dall’interpretazione data dalla Corte Europea che, quale interprete qualificata del diritto dell’Unione, indica il significato e i limiti di applicazione delle norme. Tanto è vero che le sue sentenze, “pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno valore di ulteriore fonte del diritto comunitario con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” e per questo il giudice nazionale “è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell’Unione”.
A questi principi, secondo la Cassazione, si è attenuta la corte territoriale che ha valutato correttamente i fatti e altrettanto correttamente li ha interpretati in coerenza con il diritto comunitario.
Autore: Giorgia Granati – Sistema Ratio Centro Studi Castelli
Foto: archivio Qdpnews.it
#Qdpnews.it