Il commento negativo del dipendente non giustifica il licenziamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 18.12.2024, n. 33074, ha affrontato una controversia riguardante un licenziamento disciplinare inflitto a un dirigente per alcune dichiarazioni critiche rivolte all’azienda tramite una mailing list sindacale chiusa. La vicenda, originatasi da una decisione della Corte d’Appello di Roma, aveva già sancito l’illegittimità del provvedimento espulsivo, ordinando la reintegrazione del lavoratore e il pagamento di 5 mensilità arretrate, oltre ai contributi previdenziali.

L’azienda, non soddisfatta della decisione d’appello, ha presentato ricorso alla Corte Suprema sollevando diverse questioni, tra cui l’insussistenza della giusta causa di licenziamento e l’asserita natura diffamatoria delle dichiarazioni.

Libertà di espressione nei contesti riservati – Uno degli aspetti centrali affrontati dalla Corte riguarda la libertà di espressione del lavoratore nei contesti sindacali riservati. Secondo i giudici, le dichiarazioni diffuse all’interno di una mailing list chiusa non possono essere considerate pubbliche e, di conseguenza, non configurano automaticamente un comportamento lesivo dell’immagine aziendale.

La Cassazione ha precisato che, in tali circostanze, la libertà di espressione gode di tutele specifiche, a patto che le critiche non assumano connotazioni gravemente offensive o diffamatorie. In questo caso, le parole del dirigente, pur aspre, rientravano nell’ambito di una dialettica sindacale lecita.

Diritto alla reintegrazione e al risarcimento – Un altro punto centrale della decisione riguarda la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. La Corte ha confermato che anche un dirigente, se privo di effettivi poteri decisionali, può beneficiare delle tutele previste per i lavoratori subordinati. Allo stesso tempo, è stato ribadito che l’interesse ad agire del dipendente non viene meno nemmeno in caso di reintegrazione già avvenuta.

Questo diritto persiste, infatti, per ottenere ulteriori forme di risarcimento previste dalla legge.

Valore della motivazione nelle sentenze – La Corte di Cassazione ha inoltre chiarito che una motivazione per relazione, basata su richiami giurisprudenziali precedenti, è valida a condizione che i riferimenti siano pertinenti e adeguatamente contestualizzati. Nel caso specifico, i giudici hanno riconosciuto la fondatezza della sentenza d’appello, sottolineando che le argomentazioni adottate erano sufficientemente chiare e coerenti con i principi di diritto applicabili.

Un precedente che tutela i lavoratori – Questa pronuncia costituisce un’importante riaffermazione di principi fondamentali: la libertà di espressione nei contesti sindacali, la tutela dei lavoratori contro licenziamenti illegittimi e l’importanza di garantire che le decisioni giudiziarie siano supportate da motivazioni trasparenti. La decisione contribuisce a definire meglio i limiti entro cui un datore di lavoro può agire nei confronti di dipendenti critici, evitando che forme di dissenso espresse in contesti riservati possano trasformarsi in pretesti per provvedimenti estremi come il licenziamento.

(Autore: Gianluca Pillera)
(Foto: archivio Qdpnews.it)
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