Arriva la web tax per tutti gli italiani

La web tax all’italiana, nata per colpire le multinazionali, ma che in realtà è traslata sui consumatori italiani, si estende alle imprese italiane di qualunque dimensione. È l’effetto potenziale della bozza di Manovra 2025.

Da alcuni anni va avanti un dibattito internazionale intorno al tema della web tax. Si tratta di una speciale imposta sui proventi lordi degli operatori digitali “Over the top”, principalmente statunitensi, ritenuti responsabili di produrre redditi in Europa e in altri continenti senza scontare un’adeguata tassazione.

Mentre il dibattito va avanti, impallinato sistematicamente dagli interessi di alcuni Paesi, il nostro legislatore ha pensato di adottare una web tax all’italiana (senza ironia) transitoria in attesa della vera web tax. Il balzello, che è una specie di accisa, è stato introdotto con la L. 145/2018 e dopo una difficile gestazione ha visto la luce nel 2020. La tassa colpisce, con un’aliquota del 3%, i ricavi lordi derivanti da taluni servizi digitali legati al territorio italiano.

L’obiettivo sottinteso è quello di costringere le grandi multinazionali (OTP) a pagare qualcosa all’Erario domestico.

Fino ad adesso la tassa si è applicata esclusivamente a gruppi di rilevante dimensione con parametri dimensionali costituiti da ricavi mondiali derivanti da qualunque fonte pari a 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali in Italia non inferiori a 5,5 milioni di euro. Probabilmente il legislatore si rendeva conto che il costo di compliance di una tassa dai confini non proprio netti rischiava di mettere in ginocchio le piccole imprese e ha così selezionato i contribuenti maggiormente strutturati.

Ebbene, passato il primo periodo di applicazione e nonostante il mancato seguito a livello sovranazionale la tassa non è stata rimossa. Peggio, nella manovra di Bilancio 2025 si propone di eliminare le soglie dei ricavi e per l’effetto estendere questa tassa a qualunque impresa abbia ricavi digitali in Italia che rientrano nello scopo della norma.

Con un po’ più di dettaglio possiamo aggiungere che sono soggetti alla tassa i ricavi digitali mirati relativi a:

– pubblicità online (veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia);

– servizi di intermediazione tra utenti (messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi);

– trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale.

Spiegare cosa intende il legislatore non è semplice in poco spazio. Ci ha provato l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 3/E/2021 da quasi 100 pagine ed in alcuni interpelli.

Il peso dell’interpretazione (e del pagamento) si estende ora a una miriade di aziende italiane che andranno a far compagnia a quei pochissimi editori che già la applicano e a una sparuta pattuglia di altri operatori. Sorge il dubbio che l’unica ragione per il nuovo balzello siano i poco più di 50 milioni di euro stimati come maggiore prelievo per il settore.

Non pare avere avuto pregio la considerazione che le multinazionali scaricano sui consumatori il peso economico della tassa mentre gli editori italiani non riescono.

Una tassa complicatissima, che nasce per colpire le grandissime multinazionali e finisce per colpire unicamente i soggetti deboli italiani: imprese editoriali, anche minuscole, e consumatori.

Autore: Alberto Di Vita – Sistema Ratio Centro Studi Castelli
Foto: archivio Qdpnews.it
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