AI nei professionisti: dichiararla sempre? Una norma che non regge

Il disegno di legge sull’uso dell’intelligenza artificiale da parte dei professionisti impone l’obbligo di dichiararne l’utilizzo. Una norma che, sebbene animata da intenti di trasparenza, si rivela inapplicabile, anacronistica e frutto di una profonda incomprensione della materia.

La proposta normativa sull’obbligo per i professionisti di dichiarare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei propri elaborati ha sollevato un acceso dibattito, e giustamente. Se da un lato l’intento di trasparenza può apparire condivisibile, dall’altro il modo in cui tale obbligo è concepito tradisce un’evidente mancanza di consapevolezza delle reali applicazioni dell’AI negli studi professionali.

Chiunque oggi utilizzi l’intelligenza artificiale con serietà e responsabilità sa bene che non si tratta di una delega in bianco al software, ma di un’integrazione evoluta del proprio lavoro. L’AI, nella maggior parte dei casi, svolge funzioni di supporto: elaborazione dati, spunti di riflessione, riorganizzazione di testi, analisi predittive. Sarebbe impensabile, e gravemente negligente, accettare passivamente un output senza sottoporlo a verifica. I rari episodi in cui contenuti falsi o inappropriati sono stati presentati in contesti ufficiali, come nel noto caso della sentenza inventata portata in giudizio, rappresentano eccezioni patologiche, non la regola.

Ma soprattutto: chi è in grado, oggi, di stabilire dove finisce il pensiero umano e dove inizia l’apporto dell’AI?

L’integrazione è spesso invisibile, fluida, inestricabile. Se un professionista chiede a un modello linguistico di migliorare la forma di un testo, o di correggere un errore di battitura, dovrà dichiararlo? E se da un suggerimento dell’AI nasce un’intuizione originale, dovrà elencare le fonti generative come in una bibliografia?

Siamo di fronte a un paradosso. Una norma che pretende chiarezza su ciò che per sua natura è ibrido, mutevole, e sempre più simile nei risultati al contributo umano. Sarebbe come imporre di dichiarare quanta parte di un progetto è frutto della calcolatrice, del correttore ortografico o di un confronto tra colleghi o collaboratori.

Nessun cliente si è mai lamentato di un lavoro ben fatto da un giovane praticante (forse in quanto ignaro). L’unico ambito in cui avrebbe senso un obbligo di disclosure stringente riguarda la manipolazione delle immagini. In questo caso la posta in gioco è la dignità delle persone, la privacy, il rischio di costruire situazioni apparentemente verosimili ma del tutto false. In questo campo, la trasparenza è doverosa, ed è giusto che siano previste sanzioni in caso di contenuti lesivi o fuorvianti ma, anche su questo, le norme civili e penali esistono già.

Sul testo, invece, siamo davanti a una battaglia persa in partenza: perché non solo è inapplicabile, ma facilmente aggirabile. Chi vorrà nascondere l’uso dell’AI potrà farlo senza difficoltà. E chi la usa correttamente rischia di essere messo all’indice, stigmatizzato da una cultura che continua a confondere l’innovazione con la scorciatoia.

In realtà, dichiarare apertamente che si è utilizzata l’intelligenza artificiale non dovrebbe essere visto come una colpa, bensì come un valore aggiunto offerto al cliente. Nei miei incontri, sempre più spesso spiego chiaramente come l’AI rappresenti un alleato nella ricerca, nell’elaborazione, nel miglioramento della qualità del lavoro. E anzi, invito i clienti a farne uso, anche attraverso il mio studio.

La vera modernità non è vietare, ma educare. La vera trasparenza non è dichiarare ogni clic, ma responsabilizzare i professionisti all’uso consapevole e virtuoso degli strumenti. La vera tutela non è la caccia alle streghe, ma la valorizzazione del giudizio umano che resta e resterà insostituibile.

Chi ha scritto questa norma, a ben vedere, sembra non avere idea né di cosa sia oggi l’intelligenza artificiale, né di come venga effettivamente utilizzata nei contesti professionali. E questo, sì, dovrebbe preoccuparci.

(Autore: Alessandro Mattavelli – Sistema Ratio)
(Foto: archivio Qdpnews.it)
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