Francesca Meneghin “promuove” il film sulla Anselmi: “Mi sono rivista giovane. Con Tina abbiamo risolto molti casi: una risposta per tutti”

Francesca Meneghin
Francesca Meneghin

Giovanissime, battagliere, pronte a far seguire alle parole i fatti, senza perdere troppo tempo: queste erano Tina Anselmi da Castelfranco Veneto, prima donna italiana ministro nel 1976 e Francesca Meneghin (in foto), di Vittorio Veneto, amiche politicamente e non solo, sindacaliste, entrambe donne che per tutta la vita hanno lottato contro i soprusi, le ingiustizie, gli sprechi e la mancanza di tutele per i più deboli, donne e malati.

Il film tivù che ieri sera Rai Uno ha mandato in onda su Tina Anselmi, “Una vita per la democrazia” diretto da Luciano Manuzzi e interpretato da Sarah Felberbaum, ha messo in evidenza proprio il contagioso impegno di Francesca Meneghin, oggi quasi 96enne, fin dall’inizio della sua amicizia con Tina Anselmi, quel 15 giugno 1945, nata davanti ad Aldo Moro che poi valorizzerà proprio il ruolo delle donne nominando ministro la Anselmi.

Contagioso perché Tina Anselmi fece proprie e portava in Parlamento, trasformandole a volte in leggi, proprio quelle richieste che arrivavano dalla base del paese, dalle periferie, dove Francesca Meneghin operava, nelle fabbriche prima e in patronato Cisl poi, con un ardore e una convinzione che tutti in città ricordano, e dove il suo telefono aveva praticamente una linea diretta con l’amica ministro.

“Mi sono rivista giovane in questo film – commenta oggi una lucidissima Meneghin – e nonostante sia stato sintetico come fanno in questi film, credo che chi ha oggi una certa età abbia capito che è stato detto tutto. Così è stato”.

Si è riconosciuta nell’attrice Benedetta Cimatti che l’ha impersonata, mantenendola sempre giovane anche nel passare degli anni?

“Sì, mi sono rivista, ma purtroppo gli anni passano, e sono un po’ rammaricata perché proprio ieri, dopo 77 occasioni in cui sono sempre stata presente, per i miei problemini fisici ho dovuto rinunciare ad essere in piazza e salire sul palco del 25 Aprile, per ricordare la nostra lotta di Liberazione che negli anni successivi ha riguardato la condizione delle donne sui posti di lavoro”.

La narrazione del film è stata fedele a quanto avvenuto?

“Sì in linea di massima, ma bisogna dire tutto in poco tempo nei film, e quindi qualcosa passa, ma mi ha fatto tornare in mente ad esempio la scena di quando Tina è stata “liberata” e noi manifestavamo. Siamo sempre state insieme, lei prima a Castelfranco Veneto e Roma, e io a Vittorio Veneto, una amicizia politica stupenda, che poi si è trasformata anche in personale. Eravamo entrambe della corrente di Aldo Moro, una scuola continua di politica e servizio. Le nostre famiglie sono diventate amiche, ancora oggi sono in contatto quasi giornaliero con le sorelle di Tina”.

Ma Tina Anselmi la ascoltava proprio sempre?

“Un esempio: a Vittorio c’era il caso di una mamma sola, disperata, con un bambino invalido, che se andava a lavorare perdeva la pensione del figlio. Chiamai la Tina per esporle il caso. Lo portò in Parlamento, che le diede mandato di trovare una soluzione. E così fu: una legge e la famiglia che ha un invalido in casa assicura con la Previdenza Sociale la persona che lo segue. Come fece ottenere l’assicurazione sanitaria per chi negli Stati Uniti subisce qualche operazione e ha degenza in ospedale, e viceversa per un americano in Italia. Anche qui da un caso vittoriese con un cittadino che doveva in quegli anni, era il 1985, cento milioni di vecchie lire all’ospedale americano. Vede, Tina Anselmi è stata brava nell’ascoltare e agire subito: non diceva “Ci penserò”. Come per i minatori. Si agiva come noi da giovani. Casi che ci hanno unito ancor di più”.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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