Continua il viaggio con il professor Angelo Costacurta, esperto della commissione scientifica di Qdp, alla scoperta del paesaggio vitivinicolo dell’Alta Marca Trevigiana e non solo: un territorio che, secondo l’esperto, ha alla base della propria natura un rapporto naturale tra viti e vite.
Il professor Costacurta ci racconta la sua tesi sull’argomento passeggiando per una soleggiata Vittorio Veneto, traendo spunto da un’esperienza pluridecennale nella ricerca storica e scientifica non solo nel campo del prosecco, ma di tante altre tipologie d’etichetta in altre regioni della penisola.
Partendo dal passato, il ricercatore spiega che la vite era già da secoli una componente essenziale del nostro paesaggio. Già alcuni poeti e storici in epoca romana accennavano questa considerazione nelle proprie opere, quando ancora il vino aveva un sapore più simile all’aceto che al nostro attuale prosecco.
Nonostante un tempo il settore primario fosse pressoché l’unico capace di sostentare una famiglia, l’Alta Marca è stata sempre particolarmente adatta all’agricoltura e in particolare a quella in cui la qualità del lavoro, più che le condizioni atmosferiche, determinavano l’andamento delle annate: una coltivazione “di pregio” come quella della vite, incideva in modo determinante sul panorama.
Con queste radici, il presente della viticultura è ancora più favorevole: per questo motivo la vite è ancora capace di influenzare, forse persino rivoluzionare, il paesaggio. Se questo rapporto crei un’ottimizzazione o un peggioramento dipende esclusivamente dal rispetto dei coltivatori nei confronti della diversificazione del contesto in cui vive: a detta dell’esperto, la monotonia è il nemico numero uno del bel paesaggio. Al contrario, sta nella variabile il piacere dell’osservazione sia turistica di un paesaggio, ma anche e soprattutto per quanto riguarda il benessere di chi ci vive tutti i giorni.
Non sono comprese nella proposta del professore tutte quelle strutture che creano un contrasto poco spontaneo come tabelloni, cartelli e muri, o che non hanno mai fatto parte della storia del nostro territorio. “Nel complesso, laddove la vite viene messa nella giusta misura e con le giuste modalità, il paesaggio viene abbellito”.
Per distanziarci dall’argomento prosecco e prendere un altro riferimento, non di molto più lontano, il professor Costacurta ci parla di una sua pubblicazione intitolata “Delle Viti in Friuli”, vincitrice del premio Oive (Organizzazione internazionale della vite e del vino), dove assieme al collega Antonio Silvio Calò si è concentrato nello studio delle varietà vinicole della regione vicina.
Una ricerca che ripercorre dai primi dell’Ottocento fino al giorno d’oggi: uno studio ricco di informazioni anche che aiutano a capire l’evoluzione della società che si è ramificata attorno all’economia del vino.
Su questo tema, il professore ci racconta un aneddoto patriottico: “Durante la ricerca mi sono soffermato sulla figura del Pinot Nero e ho scoperto che uno studioso friulano, un certo Bertoli, aveva scritto a proposito del nome dei vini francesi, nome che invece non avevano i vini italiani. Per un esperimento lui aveva dato una bottiglia del suo Refosco, proveniente dal suo vigneto di Codroipo, a un amico di Firenze, spacciandolo per un Pinot Nero di Borgogna e questi ci aveva creduto, rimanendone entusiasta”.
Il professor Costacurta ci spiega che, a quel tempo, il vino francese godeva di un’alta reputazione, ma non era altro che una derivazione del meno prestigioso Refosco friulano.
Un altro segnale di come anche nella storia l’eccelsa qualità del prodotto italiano non sia stata adeguatamente valorizzata con – in termini moderni – strategie di marketing e, in questo caso, di “naming”: svantaggio che, visto il riconoscimento Unesco, sarebbe il caso diventasse per le nostre colline un ricordo lontano.
(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
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