Non tutti sanno che, tra i campi di Vidor, un tempo si trovava una necropoli di epoca tardo-romana tra le più grandi di quest’area della Provincia di Treviso.
Il sito in questione è in località Masiere-Masierazze e Piazza Maor-Piazza Maggiore, vicino al Borgo Camalò di Vidor: un’area nella quale attualmente ci sono solo campi.
Non è affatto facile trovare il punto esatto in cui si trovava questa necropoli perché ora le coltivazioni sembrano tutte uguali e possono confondere facilmente chi non conosce bene queste zone.
La professoressa Maurizia Manto ha dedicato parte dei suoi studi sulla storia della comunità di Vidor proprio a questo sito, approfondito anche in uno dei primi capitoli del suo ultimo libro, “Storia di Vidor, porto sul Piave. Ricerca sulla storia di Vidor dalle origini fino al 1800”.
La necropoli di Piazza Maor copriva un’area di almeno 3.490 metri quadrati ed è stata studiata grazie a diverse campagne di scavi coordinati dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto, l’ultima delle quali nel 2011.
Come racconta la professoressa Manto, già nel 1957 si era incominciato a scavare, continuando anche nel 1986 e nel 1987-1988 (poi anche nel 2004 e nel 2006). Purtroppo, la maggior parte delle tombe rinvenute erano in cattivo stato di conservazione e molte sono state danneggiate dai lavori di aratura dei campi.
“I defunti venivano deposti per inumazione – spiega la professoressa Manto – cioè collocati integri sulla nuda terra ma, in alcuni casi, come forma di sepoltura era usata anche l’incinerazione o cremazione, cioè la bruciatura dei corpi. Molte tombe sono rivolte alla nascita del sole e sono orientate secondo la stessa direzione della centuriazione, a 62 gradi N/O-S/E circa”.
Per la studiosa vidorese questo aspetto aveva un significato che può essere legato al valore simbolico dell’Oriente (quale luogo della nascita del sole) e alla moltitudine di interpretazioni che tale evento, quotidiano e straordinario, portava con sé nelle menti delle popolazioni antiche.
“I defunti venivano deposti sotto terra con corredo funerario composto da ornamenti personali, collocati nelle varie parti del corpo – aggiunge la professoressa -. A poche decine di centimetri sotto terra sono state rinvenute, accanto ai resti dei morti, armille (braccialetti) in bronzo, decorate con motivi romboidali o cruciformi obliqui, anelli in argento e bronzo, collane con perle di vari colori, orecchini con foglia d’oro, fibbie per vestiti in bronzo e ferro”.
Anche grazie a questi oggetti si è potuto comprendere che il gruppo di uomini e donne sepolti a Piazza Maor era costituito da una società nella quale erano presenti famiglie più ricche e più potenti rispetto ad altre.
Alcuni di questi oggetti ornamentali sono molto raffinati e preziosi come l’anello con pietra d’ambra incisa con la forma di un cavallo e del suo cavaliere, oppure le pietre da collana di diversi colori.
Accanto ai morti venivano deposti anche oggetti di uso quotidiano che servivano per accompagnare il defunto nella sua vita nell’oltretomba (anforette in terracotta, cocci di tegami in ceramica grossolana trovata ancora annerita dal fumo, brocche per l’acqua e molto altro ancora).
“Negli anni Cinquanta – racconta la professoressa Manto -, come riportato oralmente da molti vidoresi ora scomparsi, si potevano trovare nelle case dei contadini resti di vasi in terracotta, rinvenuti arando i campi. Li chiamavano “pignatte” e in genere venivano distrutti sul posto o usati come vasi per i fiori. Erano in realtà dei vasi funerari contenenti i resti bruciati dei defunti. La loro strana forma aveva incuriosito molti e si parlava tra la gente dei resti di un antico cimitero”.
Attualmente tutti i reperti si trovano al Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna, dove gli appassionati possono osservarli per capire come vivevano le popolazioni dell’epoca.
L’importanza dell’area cimiteriale di Piazza Maor non è ancora stata valutata con precisione ma la professoressa Manto sostiene che si tratti della più forte testimonianza archeologica romana di tutta l’area del Quartier del Piave.
Molti studiosi hanno ipotizzato che, molto probabilmente, il cimitero fosse collegato ad un villaggio o ad una serie di villaggi posti tutt’intorno che usavano un’area comune per deporvi i propri defunti (si sono calcolate circa duemila tombe).
Gli studiosi hanno fissato il sepolcreto di Vidor in un periodo storico che va dalla metà del III secolo al V secolo d.C.
“Molto resta ancora da scrivere su di loro (sul popolo che seppelliva i morti in questa necropoli) – si legge nel libro della professoressa Manto – e in particolare sulla loro lingua, sulla loro religione, sulla loro organizzazione sociale, sulle loro abitudini di vita, sulla loro storia. Ci auguriamo che vengano studiati ancora da appassionati ricercatori e che le nuove conoscenze vengano divulgate anche fuori dal mondo accademico”.
“Intanto – si legge ancora -, guardando la magnifica distesa di campi al di sotto della quale molte tombe sono ancora inviolate, desideriamo mandare loro un pensiero di fratellanza perché figli della nostra stessa terra ed esprimiamo una sentita gratitudine per aver fatto giungere fino a noi il loro grido di speranza che, a distanza di secoli, è uguale al nostro”.
(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
#Qdpnews.it