Nelle città di mare l’incontro con lo straniero ha sempre sollecitato sentimenti contrastanti: curiosità, meraviglia, ma anche paura e pregiudizio. Nell’alto Adriatico, nel golfo del Quarnaro, nella penisola istriana, in Dalmazia e nella stessa Venezia un oggetto più di altri racconta questo altalenante rapporto con l’estraneo: il moretto.
Realizzato in oro e smalto, il moretto è un gioiello antropomorfo che riproduce il simpatico volto di un giovane di colore con sul capo un vistoso turbante bianco. Proposto come ciondolo, spilla, orecchino o braccialetto il morčić, questo il nome croato del gioiello, è il risultato di un secolare intreccio fra il fascino dell’Oriente, il timore per le incursioni saracene e l’eterno contrasto fra Cristianesimo e Islam.
La versione veneziana del moretto è ricca e preziosa, intimamente legata alla corrente culturale nota come orientalismo, frutto dell’influenza esercitata dalla cultura mediorientale e asiatica sui viaggiatori e gli artisti europei.
Gemme, perle, filigrana, corallo e legni rari nobilitano il moretto veneziano che, da amuleto per scongiurare le minacce provenienti dal mare, si trasforma in monile esclusivo appannaggio delle classi più agiate.
Meno elaborato di quello veneziano, il moretto fiumano racchiude in sé una storia talmente straordinaria da farlo assurgere a simbolo della città di Fiume (Rijeka) e dei territori circostanti. Secondo una prima leggenda, per scampare alla furia delle orde mongole che invasero l’Europa nella prima metà del Duecento, gli abitanti di Fiume invocarono l’intervento divino e lo ottennero.
I guerrieri mongoli, giunti sul lago di Grobnico alle porte di Rijeka, furono letteralmente sepolti da una pioggia di macigni; il lago si trasformò in una desolata pietraia dalla quale sbucavano soltanto le loro teste. Altrettanto cruento è un mito risalente al Seicento: mentre i turchi avanzavano a grandi passi in direzione del Quarnaro dopo aver devastato città e villaggi costieri, la popolazione fiumana implorò Dio di porre fine a quella terribile aggressione.
Anche stavolta le preghiere non restarono inascoltate e la freccia scoccata dal nobile Zrinski attinse la tempia del Sultano fulminandolo; i soldati ottomani, terrorizzati, abbandonarono il campo di battaglia disseminandolo di candidi turbanti, circostanza che ispirò la creazione dei tradizionali orecchini a foggia di moro. Un’ulteriore e decisamente più pacifica leggenda narra l’affetto di una nobildonna dalmata per la propria schiava che, una volta liberata, ricevette in dono dalla benevola dama un paio di preziosi orecchini a forma di moretto.
Alla fumosità delle leggende fa da contraltare la concreta abilità degli orafi che, dal XVII secolo si sono dedicati alla realizzazione dei moretti fiumani e veneziani. Simbolo identitario, amuleto contro la malasorte, indossato dalle donne e dai marinai che usavano esibirlo sul lobo dell’orecchio, il moretto era offerto in dono ai figli unici dei pescatori, dimostrava a quale delle comunità litoranee si apparteneva, fungeva da indicatore del proprio status economico e entrava nel novero degli ex voto presentati alla Beata Vergine per grazia ricevuta.
Fra i “morettisti” più famosi si ricordano Paolo Scarpa e Agostino Gigante, apprezzati a Fiume e in importanti esposizioni internazionali di fine Ottocento. Il moretto, per la sua originalità, ha sedotto star internazionali del calibro di Ernest Hemingway, Liz Taylor, Elton John e Grace Kelly; oggi vive una stagione di rinnovato successo e notorietà tanto da essere considerato uno dei più ambiti souvenir croati.
Realizzare un autentico moretto richiede abilità e gusto non comuni: l’oro viene colato in un osso di seppia opportunamente scavato, poi è un susseguirsi di pazienti applicazioni di smalto di vetro, cotture ad alta temperatura, levigature e spazzolature certosine. Il risultato finale è un oggetto unico, talmente amato da divenire negli anni ’90 protagonista del Carnevale di Rijeka.
Ciò nonostante non mancano le polemiche e i detrattori di un oggetto che alcuni reputano simbolo della discriminazione dell’Occidente nei confronti dell’Oriente, dei bianchi verso i neri. Una recente inchiesta di un quotidiano istriano ha messo in luce come per alcuni il moretto sia un gioiello da bandire perché razzista. La maggioranza degli intervistati ha tuttavia sottolineato come il moretto sia al contrario il simbolo di una tradizione della quale fanno parte valori come multiculturalità, tolleranza e accoglienza.
Comunque la si pensi è difficile sfuggire al fascino di un ammiccante amuleto che, come le cornucopie fenicie, gli scarabei egizi o il cornetto di corallo, con eleganza e ricercatezza racconta l’affascinante storia del nostro Mediterraneo.
(Autore e foto: Marcello Marzani).
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