Diga del Vajont, 9 ottobre 1963 ore 22.39: 1910 vittime accertate.
“Tutti sapevano, nessuno si mosse” (L’Unità)
“Scomparsa ogni traccia di vita a Longarone e nei paesi vicini” (Il Gazzettino)
“Tutto è irrimediabilmente finito” (Il Corriere della Sera)
Oggi, martedì 9 ottobre 2018, è doveroso raccontare, ancora una volta, la più grave catastrofe nazionale dopo le due guerre mondiali. Sono passati 55 anni ma il ricordo delle vittime deve rimanere vivo. Lo chiedono i sopravvissuti, l’hanno chiesto anche oggi i sindaci di Erto e Longarone con un’esplicita richiesta: la storia di questa tragedia dovrebbe essere inserita nei testi scolastici.
Una storia dolorosa che accomuna i Comuni di Valdobbiadene e Longarone: un mese dopo la catastrofe a Bigolino di Valdobbiadene, lungo il greto del Piave, fu ritrovato il piccolo corpo di Renza De Pra, di appena 10 anni.
La bambina era nata a Pieve di Cadore il 17 dicembre 1952, frequentava la prima media e, da qualche anno, risiedeva a Longarone in quanto il padre Angelo era un tecnico della Sade, la società costruttrice della diga del Vajont.
A testimoniare il legame con Valdobbiadene, nella splendida cornice di San Floriano, sono presenti due targhette che ricordano Renza e le vittime del Vajont. La prima, in legno, fu collocata il 21 novembre 1963; la seconda, in ottone, è stata inaugurata il 9 ottobre 2013, a cinquant’anni dai fatti (nelle foto).
Un legame forte tra Valdobbiadene e la famiglia De Pra, che trova forza nelle parole di Grazia De Pra, cugina di Renza, pubblicate nel memoriale delle vittime del Vajont: “Dopo diversi giorni dal disastro, quando ormai si era persa ogni speranza di ritrovarne il corpo, qualcuno della famiglia lesse su un giornale la notizia che a Valdobbiadene era stato celebrato il funerale di una piccola vittima del Vajont. Era Renza, mani pietose l’avevano raccolta sul greto del Piave e l’avevano vestita di bianco”.
“Renza era mia cugina, figlia di zio Angelo – prosegue Grazia De Pra – Aveva due anni meno di me e nel 1963 aveva iniziato la prima media. Ci frequentavamo spesso nella casa dei nonni, dove io vivevo, ed anche a casa sua durante le vacanze invernali o estive. Sono stata più volte nella casa all’interno del cantiere della diga e poi a Longarone. Potrei raccontare tante cose di lei: i giochi, qualche piccolo dissapore, le prime confidenze, ma una cosa su tutte mi pare significativa. Renza adorava il mio vestito della prima comunione, quando veniva a Pieve spesso chiedeva di indossarlo, saliva sul grande tavolo dell’entrata per non sciuparlo”.
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(Fonte: Luca Nardi © Qdpnews.it).
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