Tognana è un marchio storico e un cognome documentato nel settore dei laterizi fin dal lontano 1775. Fu strutturata come azienda nel 1946: spesso quando un’attività imprenditoriale è così radicata nel proprio territorio di origine, con una storia così profonda, con una valenza internazionale, tende a far risaltare per primi quei valori che l’hanno resa così duratura dalle origini fino ai giorni nostri.
Nell’intervista all’amministratore delegato Giusto Morosi nello stabilimento trevigiano di Casier, però, abbiamo parlato soprattutto di attualità e di futuro, perché è proprio in queste direzioni che Tognana si concentra.
Non a caso, nella lunga storia dell’azienda, fatta anche di condivisioni con varie altre società italiane altrettanto storiche (come la Fontebasso), il periodo d’oro risulta essere proprio l’ultimo. Questo grazie a una strategia che ha consentito al brand di svincolarsi dalla sola produzione di porcellane e di completare la gamma dei prodotti offerti al mercato, potenziandolo in un momento in cui il mercato diventava sempre più sensibile al tema della qualità, specie per quanto riguarda il cibo.
“L’azienda ha avuto una fase di crescita abbastanza lenta, perché lo sviluppo importante è partito soltanto circa quindi anni fa. Quando sono stato nominato amministratore delegato della società ho iniziato a introdurre prodotti diversi dalla porcellana, che però rientravano nel mondo casa e quindi in ciò che i nostri clienti cercavano” spiega Morosi.
“Abbiamo iniziato a distribuire in Italia e nei vari canali tradizionali, dal retail alla ristorazione, ma passando anche attraverso le promozioni, la raccolta punti e i regali aziendali. Così la società è cresciuta e sviluppata anche all’estero con l’introduzione di prodotti diversificati oltre alla porcellana. Dal vetro all’acciaio, questo è stato il salto veramente importante che ci ha dato visibilità a livello internazionale, triplicando il fatturato: questo perché l’azienda passava dalla fruizione del cibo alla fase della preparazione. Per riuscire a farlo abbiamo fatto grandi investimenti in comunicazione e oggi esportiamo in Sud America, nei Balcani e, prima del conflitto, anche in Russia”.
Quest’attenzione mediatica nei confronti della cucina, anche sui social, ha giovato ad aziende come la vostra?
Sì, questa tendenza è stata importante per noi. Lo sviluppo dei social ha portato i mondi degli chef più vicini alla gente comune. I “cooking lovers” sono stati i follower di un concetto più evoluto della cucina tradizionale, che ha portato gli stessi consumatori a investire su prodotti di qualità. Questo è avvenuto, bisogna dire, soprattutto durante la pandemia: i consumatori erano obbligati a stare a casa e così hanno riscoperto quei valori tradizionali del cucinare bene che altrimenti avrebbero forse continuato a ignorare. Questo ha portato un beneficio ad aziende come la nostra.
Parliamo di giovani, dei vostri giovani per esempio. Come li vede, personalmente?
Quella dei giovani è una sfida importante: la fortuna è che ne abbiamo tanti che si avvicinano ed entrano in azienda con una preparazione teorica davvero alta. Ormai la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze sono laureati e arrivano con un approccio da certi punti di vista innovativo. Per esempio, dal punto di vista informatico, che oggi si dà per scontato. Hanno una capacità notevole di analisi sulle varie situazioni. C’è da dire poi però che per avere successo nel lavoro ci vuole tanta, tanta volontà e persistenza. Non c’è niente di facile e nessuno ti regala nulla; quindi, il consiglio che posso dare è che la formazione è fondamentale, ma c’è anche una questione di crescita professionale che si basa sulla conoscenza del prodotto e sulla volontà di andare sempre avanti.
In termini di sostenibilità, che progetti state portando avanti?
Sul tema della sostenibilità abbiamo risorse dedicate: abbiamo avviato un nuovo progetto con un’azienda di consulenza per tracciare il carbon footprint (impronta di quanto co2 produce lo stabilimento) del nostro Made in Italy, cercando di attuare azioni di miglioramento, per esempio su forno e camini, fino a raggiungere la “neutrality”. Stiamo valutando anche di azioni per ridurre l’impatto per quanto riguarda i rifiuti e il consumo dell’illuminazione. Per il sociale invece stiamo puntando sulla certificazione della parità di genere, un tema sentito all’interno dell’azienda. A fine anno dovremmo riuscire a ottenerla.
Terminata l’intervista, il responsabile di produzione ci accompagna a vedere lo stabilimento di Casier. Il processo produttivo avviene in un ampio capannone, dove le porcellane affrontano varie fasi di stampaggio, cottura e finitura in aree differenti dello stabilimento a seconda del modello e della forma. Particolarmente interessante è la fase relativa alla stampa delle decorazioni sul piatto, creative e differenti tra loro. Il prodotto finale ci viene mostrato invece nello showroom di Tognana, che è coloratissimo e vario, anche per quanto riguarda gli strumenti di cottura, posateria e servizio professionale.
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