“Il quadro congiunturale continua ad essere caratterizzato da una persistente debolezza della domanda internazionale, aggravata dalla crisi dell’automotive e dalla più generale recessione tedesca – è il primo commento del presidente della Camera di Commercio di Treviso-Belluno, Mario Pozza. Il mercato tedesco è il nostro primo mercato di riferimento: assorbe il 13,8% dell’export regionale, che vale 11,3 miliardi di euro (2,3 miliardi a Treviso, quasi mezzo a miliardo a Belluno)”.
“Va subito precisato che, per nostra fortuna, non tutti i settori sono coinvolti dal peggioramento: l’agroalimentare continua a crescere, il legno-arredo pare avvertire segnali di ripartenza della domanda, si difende anche l’industria delle apparecchiature elettriche. Per effetto delle compensazioni fra queste dinamiche settoriali differenti, nel complesso la produzione industriale limita la flessione al -1,9% nel trimestre in esame, su base tendenziale. Ma si apre fortemente la forbice tra i settori in tenuta, e quelli che vanno male, come il Sistema Moda e tutto l’indotto che ruota attorno all’automotive, che ci destano molte preoccupazioni” precisa.
“Il Sistema Moda – spiega il presidente – è il settore che nel trimestre in esame conosce la flessione della produzione più pesante su base tendenziale (-7,1%): sta scontando le difficoltà di spesa delle famiglie, causate dal rincaro dei prezzi, ma anche una più generale ricomposizione dei consumi verso i servizi (viaggi, divertimento, salute) anziché verso l’acquisto di beni non durevoli”.
“Per quanto riguarda l’automotive – continua Pozza – la flessione della produzione è intorno al -4,0%, ma ora occorre capire i contorni della crisi, quanto profondo ed esteso potrà essere l’impatto su tutte quelle nostre imprese che, in Veneto ma anche qui in provincia di Treviso, fanno parte dell’indotto. Sulla fabbricazione di parti e accessori per autoveicoli riusciamo anche a quantificare dei numeri: sono 528 gli stabilimenti in Veneto (e 116 a Treviso) che operano nel settore, per un totale di circa 7.000 addetti (1.800 a Treviso). Queste imprese generano un export di 1,5 miliardi di euro a livello regionale, di cui quasi 300 milioni va verso il mercato tedesco; con altri 270 milioni di semilavorati destinati al quadrante più ampio dell’Europa centro-orientale (Austria inclusa), dove operano, come noto, molti assemblatori di primo livello per l’industria automobilistica tedesca. Ma ci tengo a precisare – sempre Pozza – che questi numeri sono in difetto, perché non tengono conto delle tante imprese della lavorazione metalli, della plastica, della componentistica elettrica o elettronica che ufficialmente sono codificate dentro questi settori, ma con linee di business anche per il settore automotive. Basti citare il caso della fonderia di Quero, entrata in crisi perché aveva puntato molto su elementi per motori elettrici, e che potrebbe lasciare a casa metà dei lavoratori”.
“Da tempo continuo a dire – parla Pozza – che è stata troppo frettolosa e ideologica la scelta dell’Ue di bandire i motori termici, di puntare esclusivamente sulla mobilità elettrica senza capire che mercati e tecnologie non erano maturi”.
“Aggiungo: c’è un problema più generale di competitività dell’industria europea. E vi concorre anche l’eccesso di prudenza della BCE nel calo dei tassi d’interesse. Mesi fa il nostro Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, aveva lanciato il monito alla stessa BCE, aveva avvertito che bisognava ben gestire la velocità di discesa dei tassi, per non deprimere troppo la domanda. Quel tempo di capire come non deprimere la domanda sembra ormai passato – sostiene Pozza – guardando anche i numeri della nostra indagine: persino un’eccellenza come la nostra industria dei macchinari sta risentendo di questo clima d’incertezza, del costo denaro che induce a rinviare gli investimenti, oltre che di un Piano Transizione 5.0 annunciato a parole dal Governo ma che tarda ad essere messo a terra”.
“Allora – conclude Pozza – è giunto il tempo delle decisioni. Le previsioni raccolte dai nostri imprenditori vedono ancora troppa incertezza sulla domanda. Il mercato del lavoro finora ha tenuto, ma per quanto ancora riuscirà a farlo? Nel Sistema Moda e nell’automotive emergono saldi occupazionali in negativo, come certificato da Veneto Lavoro”.
“Ci sono delle scelte da effettuare soprattutto in Unione europea – sostiene il presidente Pozza – se crediamo ancora al progetto di integrazione europea nella sostanza e non soltanto per belle parole. Bisogna scrivere una nuova politica europea a sostegno della manifattura. Che passi certo per la trasformazione digitale e la transizione ecologica, ma con scelte e tempistiche accorte, basate sulle reali capacità di assorbimento dei mercati, consapevoli inoltre delle asimmetrie evidenti in termini di emissioni tra le grandi aree del mondo: la Cina inquina 4,5 volte il nostro continente. E non c’è di peggio che far passare alle imprese e alle famiglie che la scommessa per l’ambiente sia solo una questione “per ricchi”.
“Se poi vogliamo favorire la crescita delle imprese su questi temi – continua – dobbiamo cambiare le regole degli “Aiuti di stato”. Se crediamo su certe direttrici, bisogna fare in modo che non si cammini col freno tirato. Una giusta leva pubblica sugli investimenti, non centellinata per paura di alterare “la concorrenza”, può favorire un più rapido salto competitivo delle nostre imprese, il cui confronto è con il resto del mondo, non solo all’interno dell’Europa. Ricerche che stiamo svolgendo in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e che utilizzeremo per potenziare i nostri uffici PID ci dicono che più favoriamo la digitalizzazione e la complessità tecnologica delle imprese, e più abilitiamo le imprese a competere nei mercati internazionali, a disporre anche di strumenti decisionali sofisticati, funzionali alla diversificazione”.
“Ma questo ripensamento delle regole della concorrenza in favore della crescita va estesa anche abbattendo i vincoli per la formazione di grandi gruppi industriali, che così possano competere ad armi pari con le multinazionali non europee, possano avere sufficiente massa critica finanziaria per fare ricerca e investimenti sulle grandi questioni tecnologiche ed energetiche, sulle quali stiamo soltanto accumulando ritardi rispetto al resto del mondo. Lo dico da imprenditore che viene dal mondo artigiano: la presenza di campioni industriali nell’ambito dell’Unione europea ci serve e può avere importanti ricadute nei territori, anche per le piccole imprese. Ai progetti del Cern di Ginevra partecipano anche gioielli della nostra meccanica di precisione presenti in Veneto. Pezzi della Space Economy passano per il trevigiano. Ma bisogna moltiplicare questi motori di eccellenza” dichiara.
“E’ ora dunque che l’Europa, con la nuova Commissione, si svegli e si dia una nuova visione per lo sviluppo. Il rapporto Draghi è un buon biglietto per il futuro. Ma bisogna mettersi in viaggio. Bisogna cambiare passo. Anche in Italia, dove a proposito di mancate o errate visioni per sviluppo, dobbiamo scrollarci di dosso il pesante, pesantissimo fardello finanziario generato dal Superbonus, che limiterà per anni le politiche di bilancio” conclude.
Il quadro internazionale e nazionale
La domanda internazionale di beni industriali continua a restare debole, soprattutto in Europa, nonostante il rientro delle tensioni nelle catene di fornitura globali e la discesa dei prezzi delle materie prime. Fattori che non sono bastati a compensare gli effetti delle politiche monetarie restrittive (con impatti negativi su investimenti e beni di consumo durevoli), la tendenza delle famiglie a ricostituire il risparmio intaccato durante la fase più acuta di rincaro dei prezzi, anche un certo cambiamento strutturale nei consumi (tendenti a privilegiare i servizi piuttosto che l’acquisto di beni, con una particolare penalizzazione per il sistema moda).
Secondo gli analisti di Ref. Congiuntura (n. 18, 2024), l’eccesso di prudenza della Bce nella velocità di riduzione dei tassi d’interesse sta anche incidendo in modo strutturale sulla competitività dell’industria europea. Non solo per aver causato il rinvio di investimenti nelle imprese (a tutto vantaggio dei competitor non europei), ma anche perché si è venuto a determinare un rafforzamento del tasso di cambio dell’euro verso le economie asiatiche, accrescendo ulteriormente le difficoltà di quei settori maggiormente esposti alla pressione competitiva con la Cina.
In questo quadro si colloca la perdita di attrattività delle auto tedesche. Cosa che, in combinazione con la frettolosa politica europea di messa al bando del motore endotermico e con listini aumentati mediamente del +38% negli ultimi 4 anni, rischia di produrre la famigerata “tempesta perfetta” su tutta la filiera industriale europea connessa all’automotive, con impatti significativi anche in Italia e nel Veneto. La recente nota Istat, pubblicata l’8 novembre scorso, evidenzia per il settore dei mezzi di trasporto una contrazione della produzione industriale del -9,2% nei primi nove mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, contro una flessione media delle attività manifatturiere del -3,4% (dati corretti per gli effetti di calendario). Ma stime ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) che si focalizzano solo sull’automotive e il suo indotto arrivano a prefigurare contrazioni prossime al -20% nello stesso periodo considerato. Diversi infatti sono i produttori italiani di beni intermedi, fornitori dell’industria automobilistica tedesca.
In Italia si aggiunge un ulteriore elemento di criticità: il “repentino cambiamento di orientamento nelle politiche di bilancio” (sempre Ref. Congiuntura, anche nel passo citato a seguire). L’Italia non è l’unico partner europeo ad aver adottato politiche di bilancio più restrittive. Tuttavia, “gli obiettivi indicati dal Governo indicano che l’Italia dovrebbe portare il deficit pubblico al di sotto del 3% del PIL già nel 2025, con una correzione che avrebbe del clamoroso, ricordando che tra il 2020 e il 2023 il deficit pubblico italiano si è posizionato su livelli attorno all’8% del PIL”.
Una parte di questo miglioramento atteso dei conti è legata all’esaurimento dei vari bonus fiscali, che hanno “drogato” il mercato edilizio e generato imponente debito pubblico (secondo stime dell’Osservatorio sulla finanza pubblica della Camera dei deputati, l’impatto maggiore del Superbonus sul debito si manifesterà tra il 2024 e il 2026 per un importo di 40 miliardi l’anno). Si tratterà ora di capire verso quale assestamento andrà incontro la filiera delle costruzioni e il suo indotto, che in questi anni post-pandemia hanno giocato un ruolo importante nel sostegno alla crescita del PIL (anche per fenomeni di “emersione” di reddito). Gli effetti più negativi potrebbero essere mitigati dalle opere pubbliche, dalla ripartenza del mercato immobiliare (se i tassi d’interesse proseguissero la loro discesa), da un principio di recupero del potere d’acquisto delle famiglie (anche sostenuto dalla riduzione strutturale del cuneo fiscale). Ma – sono sempre gli analisti di Ref.Congiuntura a sottolinearlo – “mettere assieme questi diversi obiettivi – [saldi di finanza pubblica in miglioramento, investimenti elevati in opere pubbliche, riduzione del cuneo fiscale, ndr] – non sarà cosa semplice”.
E’ al palo anche l’industria dei macchinari: penalizzata dal rinvio generalizzato degli investimenti, soprattutto in ambito Ue (causa costo del denaro e incertezza dei mercati) e dai ritardi (in Italia) nel varo degli incentivi legati alla misura “Transizione 5.0”. Su base tendenziale, guardando sempre l’andamento della produzione industriale (fonte ISTAT) nei primi nove mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, gli unici settori industriali con il segno positivo sono quello alimentare, la chimica, le apparecchiature elettriche.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
(Foto: Matteo De Noni)
(Articolo e foto di proprietà di Dplay Srl)
#Qdpnews.it riproduzione riservata