Per il nuovo appuntamento della rubrica “Al microfono con”, Qdpnews.it ha incontrato Marco Goldin, famoso storico dell’arte trevigiano che ha curato più di 400 mostre di grande successo.
Anche grazie al suo lavoro, qualche anno fa scoppiò il “caso Treviso”, che portò alla ribalta la città nel panorama mondiale delle mostre con milioni di visitatori.
Di questo e di altri argomenti si è discusso con lo stesso Goldin, che ha voluto condividere con i lettori dell’Alta Marca Trevigiana il racconto di come sia riuscito a trasformare una passione, quella per l’arte, in una professione che gli ha dato infinite soddisfazioni.
“La mia passione per l’arte è iniziata quando avevo circa vent’anni – spiega Marco Goldin – In realtà, prima di tutto avevo degli interessi di carattere letterario e poi, un po’ per caso e un po’ per curiosità, ho iniziato anche ad interessarmi all’arte. È stato un amore a prima vista e ho cambiato il mio piano di studi all’Università Ca’ Foscari a Venezia e mi sono iscritto al dipartimento di storia dell’arte: da lì è iniziata una lunga cavalcata”.
“Ho curato più di 400 mostre e, per quanto riguarda l’Alta Marca Trevigiana, ho lavorato per 15 anni dirigendo Palazzo Sarcinelli a Conegliano dal 1988 fino al 2002. Ho fatto 76 mostre ed è stata una palestra straordinaria perché ho lavorato sulla mia prima vera passione nell’ambito artistico che è la pittura italiana del Novecento, sia storico, quindi i primi decenni, sia ancor di più il secondo Novecento, lavorando sui pittori contemporanei”.
“Poi è arrivata la grande stagione delle mostre di Casa dei Carraresi a Treviso -prosegue – partita nel 1998 fino al 2004 con le mostre che mi hanno imposto ad un pubblico anche di carattere internazionale. Oltre 2 milioni di visitatori per quelle sei mostre che hanno fatto diventare Treviso un caso non soltanto nazionale ma anche internazionale. Sono stato invitato perfino dal Louvre a parlare del “caso Treviso”, nel 2001, perché tutti erano stupiti che una città di 80 mila abitanti facesse quasi più visitatori di New York e Parigi e volevano capire come fosse successo”.
“Oggi si fanno troppe mostre – aggiunge Goldin -, ogni borgo vuole fare la sua. Questa è una cosa positiva ma è chiaro che il pubblico oggi si disperde molto di più. Il fenomeno delle mostre che, soprattutto fino a dieci anni fa, era molto forte e vibrante anche come risultati, oggi sicuramente non ottiene più gli stessi risultati e occorre cercare di essere tra le prime due, tre, quattro mostre dell’anno in Italia perché altrimenti ci si disperde in rivoli e rivoletti che sono un po’ piccolini”.
“Personalmente non sono così favorevole a progetti che abbiano una loro specificità eccessiva – continua – A me piace variare, ma è anche vero che ci sono dei temi e degli argomenti che possono essere affrontati da più punti di vista e sui quali si possono fare delle mostre. Bisognerebbe cercare di trovare un punto di equilibrio fra la godibilità di una mostra per la gente e il progetto che questa mostra evoca. Se devo dire la mia, visto che mi piacciono tante cose nell’arte, come curatore mi piace spaziare. Io amo soprattutto l’Ottocento e il Novecento ma, dentro questi due secoli immensi e infiniti, c’è veramente tantissima materia da poter studiare e sulla quale poter lavorare”.
“Parlando di sbocchi per gli artisti – sottolinea il celebre curatore – si può dire che l’arte sia un mondo un po’complesso. La pittura, ormai, dal punto di vista internazionale non la fa più da padrona assolutamente. Si parla invece di video, di installazioni, di fotografia, tutto molto collegato anche al mondo della moda. Per fare un lavoro come il mio, invece, non è facile nemmeno quello“.
“Società serie in Italia che si occupino dell’organizzazione di mostre, – conclude – con tutto quello che ci ruota attorno, le possiamo contare sulle dita di una mano. Magari un paio nel Veneto, poi Roma, Milano: è un mondo molto ristretto e non ci sono grandissimi sbocchi. Poi, come dico sempre, il talento viene premiato: se ci sono dei ragazzi o delle ragazze in gamba che hanno voglia di cominciare a fare questo lavoro, perché no? Lo spazio si trova sempre ma il talento è molto importante e spesso ci dimentichiamo di questo. Pensiamo sia un lavoro quasi di carattere impiegatizio, invece le idee vengono sempre premiate”.
(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
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