Nella chiesa di Sant’Agostino sulle tracce delle antiche congregazioni religiose

Un particolare della chiesa trevigiana di Sant’Agostino

A pochi minuti da piazza dei Signori, la chiesa di Sant’Agostino appare come un gioiello incastonato in uno stretto incrocio fra le viuzze che attraversano il centro. Vale la pena prendersi qualche minuto per meditare di fronte ai tesori che si celano dietro alla sua facciata sobria ed elegante. La raffinatezza dei decori e le opere mirabili al suo interno narrano una storia millenaria, che inizia già in età longobarda, da cui emerge la profonda devozione della comunità trevigiana nei secoli.

L’ufficio Beni Culturali della Diocesi di Treviso, nell’àmbito del progetto “Luoghi del Sacro Treviso”, dona una minuziosa descrizione delle peculiarità di questo luogo sacro da scoprire, talvolta riscoprire, e apprezzare in tutta la sua bellezza.

“Entrando in chiesa, ci accoglie un’elegante aula ellittica in cui trionfano la luce e i colori pastello degli stucchi rococò: si presenta così lo spazio disegnato con sapienza da padre Francesco Vecelli, Provinciale della Congregazione dei Chierici Regolari Somaschi e architetto per diletto. In effetti, dal 1752 al 1760 la chiesa, fin dal 1597 affidata alla Congregazione, fu rinnovata per celebrare la figura del fondatore dell’ordine Gerolamo Miani, proclamato beato nel 1747 e santo vent’anni più tardi.

Fondata forse in età longobarda in una zona periferica della città, la chiesa era stata poi incorporata nello sviluppo urbano e padre Vecelli inserì sapientemente i suoi volumi convessi nello snodo delle animate vie del centro. L’interno sintetizza suggestioni lombardo-piemontesi nella foggia dei preziosi altari marmorei ma si ispira anche nel presbiterio alla lezione palladiana, citando la chiesa veneziana del Redentore.

La decorazione in stucco dovuta al lombardo Andrea Solari, attivo in quegli anni a Venezia, scandisce la suddivisione degli spazi, ora con riquadrature che ospitano opere pittoriche, ora con motivi decorativi che concorrono al racconto della Gloria del beato Gerolamo Miani, raffigurata nel grande telero a soffitto di Antonio Marinetti detto il Chiozzotto, allievo del Piazzetta. La figura di Miani è protagonista al centro, dove la sfolgorante figura della Vergine rievoca l’apparizione miracolosa all’origine della sua conversione, ma anche nella pala dell’abside, in cui San Gerolamo Miani riceve da sant’Agostino la Regola con la quale i Somaschi regolano la loro vita apostolica. Opera mirabile è anche la tela dell’Angelo Custode, devozione che l’Ordine dei Somaschi diffuse in riferimento alla loro missione educativa per i fanciulli orfani e abbandonati. 

In chiesa sono conservate opere appartenute al corredo dell’edificio precedente: tra le finestre dell’attico sei tele di Giovanni Buonagrazia risalenti ai primi anni del ‘700 raffiguranti l’Arcangelo Gabriele e la Madonna annunciata (in origine poste probabilmente ai lati dell’arco absidale dell’antica chiesa), San GirolamoSan Giovanni BattistaSanta Maria Maddalena e San Sebastiano.

Sulle pareti del piccolo coro trovano posto due teleri dell’ultima decade del XVII secolo attribuite a Giovanni Antonio Fumiani che illustrano i Miracoli degli angeli custodi, in cui il gusto tardo barocco si accompagna ad un colorismo di suggestione veronesiana. Narrando episodi in cui gli angeli custodi intervengono a rovesciare le sorti di una battaglia, uniscono la devozione agli angeli alla citazione dei trascorsi di soldato al servizio della Serenissima di Gerolamo Miani.  

Nel primo altare a destra ha un posto di rilievo la cinquecentesca pala della Scuola dei Calegheri, raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Marco, Aniano e Giuliano, oggetto di devozione da parte della confraternita dei calzolai che in questa chiesa si riuniva.

Qui aveva sede anche la congregazione religiosa della Confraternita dei morti, della quale si conservano la sontuosa insegna processionale, posta ora sopra il confessionale, raffigurante il Trionfo della morte e la vanità del potere, e quattro torciere con Angeli macabri. Coerente con il messaggio di pietoso accompagnamento del trapasso, nel secondo altare a destra trova posto la tela del Marinetti raffigurante il Transito di san Giuseppe, il santo ritenuto patrono della “buona morte” a partire dal XVII secolo.

Meritano una menzione anche alcune opere provenienti da chiese trevigiane soppresse, quali gli affreschi quattrocenteschi murati ai lati dell’ingresso, staccati rispettivamente dalle chiese di San Tommaso e Santa Caterina, con San Sebastiano coronato da angeli e Cristo flagellato, oltre al gruppo scultoreo di Giovan Battista Florio dell’inizio del XVII secolo, composto dalle figure lignee policrome di Sant’Agostino, Santa Monica e della Madonna della Cintura, proveniente dalla chiesa di Santa Margherita”.

(Foto e video: Qdpnews.it riproduzione riservata).
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