In carcere con il quotidiano del Piave: visita a “Santa Bona”, la casa circondariale di Treviso

Entrare in un carcere non è mai un’esperienza banale, nemmeno se vissuta da giornalista per un reportage. Quando l’agente di turno fa girare la chiave nella toppa, il rumore metallico è proprio quello delle tante scene di carcere dei film e un groppo allo stomaco è quasi inevitabile.

Ma l’emozione inizia ancora prima, fuori del grande cancello d’ingresso della casa circondariale di “Santa Bona” di Treviso. A colpirci sul subito è il colore azzurro della struttura, voluto dallo storico direttore, Francesco Massimo, che ha unito il desiderio di dare allo stabile un colore vivace con la passione calcistica per il Napoli.

Superato il controllo di sicurezza veniamo ricevuti dal direttore Alberto Quagliotto e dal comandante della polizia penitenziaria Massimo Carollo. Prima di cominciare la visita, sottoponiamo il direttore a un “fuoco di fila” di domande nel suo ufficio e lui amabilmente risponde a tutte.

Il carcere ospita attualmente 220 detenuti a fronte di una a capienza di 140; un buon tasso di sovraffollamento che è comune a tutti gli istituti penitenziari del nord Italia.

Di questi detenuti 114 (poco meno del 50%) sono italiani, gli altri sono di diverse nazionalità, dal Nord Africa all’Est Europa con qualche new entry da Afghanistan e Pakistan.

I reati commessi? Tutti i reati comuni, cioè i reati previsti dal codice penale esclusi i reati associativi di stampo mafioso e i reati a particolare riprovazione sociale, come ad esempio i reati legati alla pedofilia, alla pedopornografica e quelli consumati ai danni di donne e minori. Rientrano pertanto i reati legati alla sfera patrimoniale e contro la persona (dall’omicidio, al furto, alla rapina fino allo spaccio di droga).

Ergastolani? Attualmente Santa Bona ne ospita uno. Il discorso si è poi spostato sul reinserimento sociale dei detenuti. Per loro la scuola è il primo step di ripensamento del proprio vissuto: secondo il direttore il reinserimento parte “dall’essere più che dal fare”.

I dentuti hanno poi la possibilità di imparare una professione, altro cardine per un futuro reingresso nella società.

Si parte da attività elementari, volte a far acquisire una dimensione del lavoro come impegno, a cominciare dal rispetto dell’orario e delle tempistiche. Poi c’è un’ evoluzione che porta il detenuto ad acquisire specialità più professionalizzanti. Gli agenti carcerari sono 140, con una leggera carenza, ma in numero sufficiente per garantire la sicurezza dell’istituto.

Chiediamo se sono più le reiterazioni di reato o i ravvedimenti. Il direttore ci spiega che alcuni detenuti che aveva visto 25 anni fa ai suoi inizi li ritrova, ma fortunatamente tante persone non le ha più riviste. Fondamentale per il ravvedimento è una famiglia che riaccolga il detenuto al ritorno in libertà e un lavoro.

Evasioni? Questa è la domanda che per scaramanzia non si dovrebbe mai fare. L’ultima evasione dal carcere di Treviso fu quella di Prospero Gallinari nel 1977, prima della legge Gozzini.

Nel 2019 i modi per evadere sono i mancati rientri dai permessi premio e dalle misure alternative, eventi che fanno scalpore. Secondo il direttore, il rapporto tra accesso alle misure alternative ed evasioni è minimale; un “rischio d’impresa” che la legislazione si è presa per rispondere all’articolo 27 della costituzione secondo il quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento nella società.

Dopo questa lunga chiacchierata inizia la nostra “vera” visita all’interno della casa circondariale. Chiave dopo chiave, cancello dopo cancello entriamo nel cuore del carcere, nelle aree adibite ai detenuti.

Lungo il nostro percorso ci imbattiamo in un campo di calcio di grandezza regolamentare: ci dicono che anni or sono una rappresentativa con qualche giocatore del Milan abbia calcato il terreno di gioco del “Santa Bona”.

Seguiamo la traccia del direttore e visto che il “reinserimento sociale dei detenuti” comincia dalla scuola, andiamo a visitare le aule. L’educatore con qualifica di funzionario giuridico pedagogico è il dottor Siro Simonetto. Gli studenti sono circa 130.

L’amministrazione penitenziaria dà a tutti i detenuti che la richiedono la possibilità di seguire a rotazione un corso educativo. Altre porte si aprono ed entriamo in un luogo di culto, una chiesa cristiana.

I detenuti di altre fedi religiose sono liberi di professare il loro credo nelle celle. Arriviamo nei locali dove i detenuti possono imparare una professione.

A guidarci in quest’area è Marco Toffoli, presidente di “Alternativa Ambiente”, la cooperativa che opera a Santa Bona da trent’anni, con il fine di creare opportunità di inserimento lavorativo per i detenuti.

Questi ultimi per accedere ai vari percorsi vengono selezionati e solo successivamente assunti, dopo aver superato un colloquio di lavoro. I detenuti percepiscono per il loro lavoro una retribuzione come qualsiasi altro lavoratore.

Si va da alcune semplici mansione, come d esempio l’etichettatura di bottiglie di vino, a lavori più complessi legati all’elettronica, il tutto in collaborazione con aziende leader del territorio. Alcuni detenuti si occupano della digitalizzazione dei documenti dell’amministrazione penitenziaria.

Si tratta di un progetto pilota, finanziato dal Ministero di Giustizia. Nel perimetro del carcere esiste anche una fungaia e un piccolo allevamenti di quaglie. Parliamo anche con il medico dell’Ulss 2 Marcon Matteo, che opera con i detenuti come un qualsiasi altro medico di base.

Da lì ci accompagnano nell’area che ospita i detenuti in isolamento. Con il termine isolamento si intende la separazione di un detenuto dal resto della popolazione carceraria. Sicuramente è un luogo che ci colpisce e che un po’ ci intristisce anche se, grazie al progetto “abilmente” realizzato dalla cooperativa “Alternativa Ambiente” attingendo a un finanziamento della Regione Veneto, si è cercato di dare “vita” allo spazio dove questi detenuti stanno nell’ora d’aria, addobbandolo per creare un clima migliore.

Arriviamo al parlatorio del carcere. Nessun vetro o barriera, ma anzi pareti disegnate con alberi e fiori. Tanto colore e sgabelli di differenti altezze; è chiara l’attenzione a rendere “caldi” i luoghi dove i carcerati possono incontrare i familiari.

Lo si nota anche nel giardino esterno, dotato di giochi per bimbi. Altri spazi sono dedicati ai colloqui dei detenuti con i loro avvocati e con le autorità giudiziarie. Poi ci sono i lavori ”domestici”, effettuati dai detenuti assunti direttamente dall’amministrazione penitenziaria.

Rientrano in questa fascia le pulizie, la lavanderia e la cucina: in questo caso si predilige il criterio della rotazione. Prosciutto cotto, würstel e fette biscottate con marmellata a pranzo e una cena a base spaghetti aglio olio e peperoncino sono il menù del giorno.

La nostra visita si conclude nell’atrio di ingresso, dove ci restituiscono i documenti e gli oggetti personali che avevamo lasciato in deposito. Ce ne adiamo con la sensazione che il carcere di Santa Bona sia una struttura molto vecchia, in parte obsoleta, che l’amministrazione penitenziaria ha cercato di rendere il più possibile umana, con la speranza che per chi ha sbagliato e sta saldando il proprio debito, possa diventare il luogo dove gettare le basi per il reinserimento nella società.

(Fonte: Giancarlo De Luca © Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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