Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro costa 193 milioni di euro alla Marca trevigiana, collocando la provincia al 14esimo posto in Italia.
Lo rivela uno studio di Confartigianato che ha calcolato il costo derivante dal minor valore aggiunto prodotto a causa della ricerca delle professioni difficili da reperire. Si parla dei tempi lunghi di ricerca dei lavoratori superiori a sei mesi.
“La nostra ricerca non fa che confermare ciò che da tempo lamentano gli imprenditori – commenta Oscar Bernardi, presidente di Confartigianato Imprese Marca Trevigiana – Una ricerca del personale che supera i sei mesi di tempo ha un impatto di oltre un miliardo di euro sul valore aggiunto delle micro e piccole imprese del Veneto”.
Le aziende venete si collocano al secondo posto in questa speciale classifica dopo la Lombardia. Seguono Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana e Campania (529 milioni).
“Oltre la metà delle ricerche di personale è difficile da realizzare – conferma Bernardi -, eppure le nostre imprese ne hanno bisogno come l’acqua nel deserto”.
Il problema del reperimento di personale non accenna a migliorare in particolare per le artigiane e le PMI manifatturiere ed edili che ricercano al 95% profili di tecnici ed operai. Nello scorso mese di novembre in Veneto, la difficoltà è salita al 55,6%, ben sette punti percentuali superiori alla media nazionale “ferma” al 48,5%.
Per quanto riguarda gli operai specializzati, gli addetti ai macchinari e gli autisti di mezzi pesanti la soglia ha raggiunto quota 68,3%. Valore questo, per la gran parte spiegato dalla assenza di candidati (47,2%), piuttosto che per la loro scarsa preparazione (15,3%).
“Il vero paradosso – sottolinea il presidente Bernardi – è che mentre più di una entrata su due è di difficile reperimento, in Veneto oltre 100mila giovani, circa 18 mila in Provincia di Treviso, nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni sono inattivi. In Italia sono oltre un milione e mezzo, dato che ci porta ad occupare, in negativo, la prima posizione nella Ue”.
Il problema della ricerca del personale si lega a quello, altrettanto sentito dagli imprenditori, di come attrarre e trattenere i giovani in azienda. Tra le possibilità vi sono l’attività formativa, la valorizzazione delle prestazioni che la bilateralità artigiana eroga ai dipendenti di settore oltre alle soluzioni di welfare aziendale adattate alle esigenze e alle aspettative del personale in forza.
“Una buona notizia arriva dal Governo – dice Bernardi – con il disegno di legge-DDL 924 del 18 settembre scorso che istituisce la filiera formativa tecnologico-professionale, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, che va nella direzione di quanto stiamo già facendo nella nostra provincia con il dialogo instaurato con gli Ipsia (Istituti Professionali Industria e Artigianato) e gli Iefp (Centri di formazione professionali regionali) per orientare i giovani al mercato del lavoro dipendente o autonomo con esperienze in impresa mentre sono ancora studenti. Obiettivo infatti del Ddl è quello far dialogare tutti i tasselli della filiera avvicinando l’Italia alle migliori esperienze europee”.
“Ci auguriamo che questa sfida possa essere colta – conclude il presidente Bernardi -, che le scuole decidano di avviare la sperimentazione. Va ripensata integralmente la didattica e non solo comprimendo i contenuti oggi espressi nei percorsi quinquennali. È più che mai necessario dialogare con il mondo delle imprese a beneficio delle competenze e dei profili in uscita dei ragazzi, favorendo i percorsi di formazione duale progettati con le imprese, sostenendo esperienze formative coprogettate con le scuole direttamente nei contesti di lavoro”.
“Quello che suscita in noi qualche perplessità è la gestione centralizzata, avremmo voluto che fossero i territori ad essere protagonisti – aggiunge -, garantendo così un’efficace attuazione della filiera e un dialogo progettuale e concreto del mondo della formazione con il tessuto produttivo territoriale“.
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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