Tutto ha inizio il 10 dicembre del 1508 quando le principali potenze europee firmano, a Cambrai, un accordo per “far cessare le rapine arrecate dai veneziani”, domare una volta per tutte “l’incendio comune” e spegnere “l’insaziabile cupidigia dei Veneziani e la loro sete di dominio”. Il trattato preoccupa non poco il governo della Serenissima che, dinanzi all’addensarsi di nubi minacciose, reagisce adottando le contromisure necessarie ad arginare quello che, da un momento all’altro, potrebbe rivelarsi un attacco mortale.
Treviso, ultima barriera difensiva della Dominante, necessita ora più che mai di un sistema di fortificazioni moderno ed efficace; un’opera capace di resistere ad armi da fuoco e artiglierie di nuova concezione dinanzi alle quali le vecchie mura medievali crollerebbero come un castello di carta.
Il senato della Serenissima, consapevole della portata del progetto, non ha dubbi: bisogna avvalersi del miglior professionista sulla piazza, fra’ Giovanni Giocondo da Verona, un personaggio emblematico al quale Manuela Zorzi e Ferdy Hermes Barbon hanno dedicato interessantissimi approfondimenti nel volume “Le mura di Treviso” edito da Chartesia.
Domenicano o forse francescano, fra’ Giocondo (al secolo Giovanni Monsignori) potrebbe addirittura far parte del clero secolare, essere cioè un religioso con meno vincoli rispetto ai preti regolari. Nato attorno al 1433, ha solidissime basi di cultura umanistica e scientifica, padroneggia l’idraulica, l’ingegneria civile e l’architettura. Quando all’età di settant’anni riceve la proposta di collaborare con Venezia, vanta un curriculum impressionante: a Napoli ha contribuito a progettare la fortificazione cittadina, l’edificazione della Villa di Poggioreale e, nella veste di studioso di greco e latino, ha esaminato le principali vestigia archeologiche campane. Chiamato a Parigi da Carlo VIII concepisce il grande ponte di Notre-Dame, il sistema idraulico dei giardini del castello di Blois e la Chambre Dorée del parlamento francese.
Fra’ Giocondo non è un architetto qualunque e non a caso Giorgio Vasari gli dedicherà diverse pagine nel celeberrimo trattato Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, collocandolo a fianco di un altro illustre urbanista veronese, Michele Sanmicheli, e del geniale Leonardo da Vinci.
Consapevole del proprio valore, fra’ Giocondo rigetta l’offerta del senato lagunare consistente in 150 ducati all’anno (si stima che un ducato veneziano del ‘500 fosse sufficiente a coprire le spese essenziali per una settimana): la Francia lo ha abituato a ben altri compensi e, come se non bastasse, lo spostamento dei propri libri e degli strumenti tecnici da Parigi a Venezia si profila assai dispendioso.
Trovato l’accordo economico, il geniale architetto approda in Veneto nel 1506, anno in cui intraprende una meticolosa esplorazione del territorio. Sfruttare le peculiari caratteristiche geomorfologiche del trevigiano per accrescere l’efficacia delle mura rappresenta la grande intuizione del frate veronese per il quale Sile e Botteniga, opportunamente regimati, possono rivelarsi alleati strategici. Il suo è un approccio, come si direbbe adesso, multidisciplinare: idraulica, architettura, geologia e arte militare vanno di pari passo rivelandosi, ciascuna, una componente essenziale del grande progetto.
Giorno dopo giorno le idee di fra’ Giocondo prendono corpo e Treviso diviene una città fortificata al pari di Lucca e Ferrara. Tutto però ha un costo e il conseguimento dell’obiettivo non ammette esitazioni: il frate-architetto dispone il sistematico abbattimento delle mura medievali, di numerosi edifici civili e altrettanti religiosi, i quali devono lasciare spazio alla spianata e alle mura. Lo spettacolo appare desolante e in molti non risparmiano aspre critiche a colui che è passato alla storia come “architetto senza architetture” per l’abitudine di non indugiare sui disegni, ma preferire la consulenza alle maestranze direttamente sul campo.
La parabola trevigiana di fra’ Giocondo si conclude più o meno dopo un quinquennio: all’indomani di una lite Venezia lo solleva dall’incarico e al suo posto chiama prima Lorenzo di Ceri e poi Bartolomeo D’Alviano. Fra’ Giocondo non è certo il tipo che si arrende e dopo poco tempo si trasferisce a Roma per collaborare con Raffaello alla fabbrica di San Pietro. E nella città dei papi, oramai vecchissimo, rende l’anima a Dio in circostanze ignote.
Scompare così un personaggio eclettico, ammirato e criticato, geniale e intransigente, capace di suscitare meraviglia e sdegno ma soprattutto in grado di legare il proprio nome a opere mirabili come le mura di Treviso, una fortificazione mai messa alla prova da eventi bellici, aggredita dal tempo, e assurta ad autentico simbolo identitario della città del Sile.
(Autore: Marcello Marzani)
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