“Colpisce sempre più giovani”: a Castelfranco una serata per conoscere l’Alzheimer. La testimonianza del piccolo Alfiere della Repubblica Mattia

Nel Teatro Accademico di Castelfranco Veneto si è svolta martedì 22 marzo la tavola rotonda “Dialoghi al femminile sull’Alzheimer”, incontro pubblico inserito nella rassegna comunale “Noi, Donne, l’Essere speciale” e con la Fondazione per la ricerca cardiovascolare e delle malattie neurodegenerative.

Il tema principale della serata era l’Alzheimer, e su di esso hanno dialogato quattro donne che vivono questa malattia da fronti diversi: la giornalista Alessia De Marchi, la moglie, madre e “caregiver” Michela Morutto, il medico geriatra Alessandra Codemo e la docente universitaria e coordinatrice di laboratorio di ricerca Paola Pizzo. La serata è stata scandita dagli interventi musicali del coro Soldanella Alpina, diretto da Emanuela Morosin.

Tra i presenti all’incontro anche la presidente della Federazione veneta solidarietà Alzheimer Renza Ferello, il sindaco di Castelfranco Veneto Stefano Marcon il quale ha ricordato che la serata è nata dal lavoro svolto dalla commissione pari opportunità del Comune, presieduta da Annalisa Battocchio: “Questa serata la facciamo grazie a un’azione congiunta di vari assessorati, da quello alle pari opportunità – abbiamo il vice sindaco Marica Galante –, a quello al sociale con il dottor Roberto Marconato, la cultura con la dottoressa Roberta Garbuio e l’assessore al turismo Gianfranco Giovine”. Presente anche Sonia Brescacin, consigliere regionale del Veneto, secondo la quale l’Alzheimer “è un tema importante che coinvolge tutte le nostre realtà e componenti, dalle istituzioni ai singoli, alle storie di chi ci sta accanto”.

Franco Gariboldi Muschietti, presidente della Fondazione per la ricerca cardiovascolare e delle malattie neurodegenerative, ha spiegato: “Bisogna iniziare ad affrontarla, è una malattia che inizia a colpire sempre più giovani. Mi auguro ci sia sempre più una disponibilità per la ricerca da parte delle istituzioni per affiancare e aiutare i malati e le loro famiglie perché credo che questa malattia sia, ancora oggi, trascurata”.

Michela Morutto è la moglie di Paolo Piccoli, oggi 50 enne e affetto da Alzheimer precoce iniziato a poco più di 40 anni. Attualmente è ricoverato in una struttura residenziale. Lei ha deciso, assieme al marito e al figlio Mattia, di parlare della malattia per abbattere lo stigma di essa, senza nascondersi.

“Ha iniziato con le prime dimenticanze, ma non voleva ammettere di avere la stessa malattia del padre. Lo abbiamo preso per mano e guidato, ma è stata dura perché aveva una vita davanti: un lavoro, due figli piccoli da crescere, tante idee e obiettivi, una vita sociale che pian piano è svanita.

L’Alzheimer non è una malattia contagiosa, ma attorno alla famiglia si crea un vuoto: è proprio questo il momento in cui le famiglie hanno bisogno di un aiuto e un supporto economico, dalle istituzioni e dalla società. La pacca sulla spalla adesso non serve più, c’è bisogno di un sostegno concreto. I nostri due figli si sono trovati dalla parte opposta: ad aiutare il proprio papà come lui aveva fatto con loro. Tante volte mi dicono ‘sei forte’ ma non è che uno è forte, o scappi o accetti e combatti per Paolo e per la famiglia.

La malattia porta tutta la famiglia nell’abisso, non solo il malato. I bambini hanno bisogno di un supporto psicologico, di fare attività, di vivere una vita adeguata alla loro età ma non ci sono delle associazioni che tengono conto anche della famiglia, non solo della persona malata in età anziana, perché queste associazioni sono studiate principalmente per gli anziani ma mio marito, ad esempio, è una persona giovane che ha bisogno di fare sport come faceva un tempo”.

Il figlio di Michela e Paolo, Mattia, è stato premiato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con l’attestato di Alfiere della Repubblica 2021, per aver supportato ed aiutato il proprio padre anche nel difficile lockdown: “Una giornata con mio papà è un grande tesoro – ha detto Mattia – e lo è anche per lui perché nonostante per tante persone possa sembrare una normale giornata, per me non è così perché io mi impegno ad aiutarlo nelle cose in cui non riesce. È consapevole e mi ringrazia molto ed è molto felice. Mi sento un po’ un esempio perché tutte le persone che hanno questa problematica possano fare come ho fatto io, magari prendendosi il premio di Alfiere della Repubblica”.

Alessandra Codemo è un medico geriatra laureata in medicina all’Università di Padova. Conseguito il dottorato di ricerca in gerontologia sperimentale e clinica, ha fondato il CRIC (Centro Regionale per lo studio e cura dell’Invecchiamento precoce) dove tutt’ora svolge l’attività di medico e ricercatrice.

“Nel soggetto anziano – ha detto Codemo – che non si rende conto di quello che sta accadendo, la malattia inizia a verificarsi tramite delle semplici dimenticanze. Nel giovane, che si rende conto e soffre molto di questo, i primi segnali possono essere nel disturbo della parola (“Non trovo la parola giusta; non so cosa volevo dire”…), disturbi della vista, disturbi nel comportamento e giudizio o disturbi di memoria, andando velocemente a peggiorare. Statisticamente, la malattia dell’Alzheimer è più frequente (per due terzi) nel genere femminile, perché è meno scolarizzato e c’è il calo degli estrogeni che si verifica verso i 50 anni e ci rende più sensibili alle varie malattie cardiovascolari e al cervello. Altri tipi di demenza, invece, sono più frequenti negli uomini.

Bisogna prevenire tenendo sotto controllo la pressione, il colesterolo, il diabete, attività fisica e cognitiva quotidiana. Andrà ad aumentare se continueremo a mangiare tanto e male, bisogna seguire la dieta mediterranea selezionando con cura quello che andiamo ad ingerire. Abbiamo delle terapie sintomatiche, che rallentano e riducono i sintomi e sono abbastanza efficaci nei soggetti anziani ma non in quelli giovani”.

Paola Pizzo si è laureata in biologia all’Università degli Studi di Padova ed ha ottenuto il dottorato di Ricerca in Patologia Sperimentale all’ateneo di Bologna. È docente di patologia generale alla facoltà di medicina a Padova e coordina un laboratorio di ricerca del dipartimento di scienze biomediche della stessa università.

“Nella demenza, il 60% è composta dalla malattia dell’Alzheimer. In laboratorio cerchiamo di capire quali sono i meccanismi alla base, che portano il neurone a non funzionare più e a morire. A seguito di questa morte neuronale, si verificano le manifestazioni cliniche citate prima. Quello che avviene prima di avere l’esordio clinico, è quello che dobbiamo studiare perché prima capiamo quello che succede e prima riusciamo a intervenire. Nella malattia succedono due cose che non vanno bene: un accumulo all’esterno dei neuroni di una proteina mal organizzata che forma delle placche, un aggregato di un’altra proteina nel neurone che lo fa mal funzionare. Bisogna quindi definire i meccanismi mal funzionanti e avere dei marcatori di malattia precoci, identificando dei segnali nell’organismo, per intervenire nell’immediato”.

La ricerca è costosa e purtroppo devo dire che in Italia il costo della ricerca è poco considerato e valutato. Recentemente abbiamo ottenuto un finanziamento, per due anni, da un ente americano su base volontaria: il “Cure Alzheimer’s Fund” per un progetto di ricerca sulla patologia: andare a cercare delle manifestazioni precoci come l’infiammazione del nostro cervello e i possibili mediatori per contrastare tempestivamente il processo degenerativo. I risultati che avremo sulle cavie verranno traslati sui campioni umani che ci ha fornito il dottor Carlo Gabelli, dalla Biobanca. Finalmente abbiamo capito che bisogna aver cura del nostro cervello come ne abbiamo per il resto del nostro corpo”.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata)
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