Parlare di Paesaggio va molto di moda dalle nostre parti, sopratutto da quando l’Area delle Colline del Prosecco è stata candidata e poi riconosciuta, lo scorso luglio, Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Se le nostre Colline del prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono oggi sito Unesco è perchè i tecnici della Commissione giudicatrice ne hanno attestato tre caratteristiche speciali e uniche: in primo luogo la particolare morfologia, con coordinate da Est a Ovest, “formanti una serie di rilievi irti e scoscesi, intervellati da piccole valli parallele tra loro”.
L’uomo si è adattato a questo conformazione, modellando la lavorazione e creando nuove tecniche di agricoltura.
In secondo luogo la presenza di ciglioni, particolari terrazzamenti dove per sostegno non si usano pietre ma terre ed erba, rispettando il paesaggio e rendendo molto solidi i versanti.
Da terzo e ultimo, il paesaggio agrario a mosaico, dove i tanti apprezzamenti di terreno appartenenti alle diverse famiglie sono intervallati da boschi e parti, fonte e rete ecologica.
In realtà ben prima che si parlasse di Unesco a Pieve di Soligo scriveva di Paesaggio il poeta Andrea Zanzotto, di cui nel 2021 ricorrerà il centenario dalla nascita: la valorizzazione della sua figura e poetica sono sicuramente presupposto e pilastro fondante anche della recente ulteriore candidatura del Comune di Pieve di Soligo a città della Cultura 2021.
Cosa signifca parlare di Paesaggio e cosa intendeva lo stesso Zanzotto per quest’ultimo, riconosciuto a livello internazionale come il “Poeta del Paesaggio”?
Usato per la prima volta nel 1500 in Francia e poi introdotto in Italia dai Vasari, il termine paesaggio è un neologismo che indica qualcosa di nuovo rispetto al paese, con cui si identifica, esso aggiunge una prospettiva o vista soggettiva sul paese, così da poterlo definire come una distesa di paese abbracciato dallo sguardo di un soggetto.
La prima immagine di osservatore del paesaggio è quella di Petrarca, in cima al Mont Ventoux: proprio lui che volle rifugiarsi nella campagna veneta di Arquà, dopo aver viaggiato ovunque in Europa, è stato un autentico viandante preromantico, moderno perchè ha rivolto lo sguardo lontano, mosso da umana curiosità e sete di conoscenza.
Per Zanzotto – da “Luoghi e Paesaggi” – il paesaggio è ciò che irrompe nell’animo umano fin dalla prima infanzia con tutta la sua forza dirompente: dallo stupore iniziale ha origine una serie infinita di tentativi per esperire le cose, come si verificano.
Fino a quel momento vi è uno scambio tra l’io in continua e perenne auto-formazione e il paesaggio come orizzonte percettivo totale, come mondo.
Il Paesaggio zanzottiano come eros della terra e limite in cui ci si rende riconoscibili è l’ambito di definizione del sè che nasce da un senso di mancanza e privazione iniziale.
Zanzotto era innamorato della sua terra, da cui raramente si è distanziato: qui per lui il colore è prepotente, qui il paese ha fatto la pittura veneta, imponendosi con la sua grazia violenta, piena e rapida.
Così il poeta Zanzotto descrive in prosa il suo paesaggio veneto:
“Le strutture geologiche, mare, piana, colli e vette tutti a portata d’occhio; il manto agreste condizionato dall’uomo, il manto boscoso, gli alberi e il loro individuo definirsi nella fantasia dei fogliami, il soave trapasso di ciascuno di questi elementi nell’altro. Dalla roccia all’ordinato anelito delle foglie, ai cori delle selve. La tastiera dei legni, delle essenze vegetali, dal nocciolo e dal sambuco fino al rovere primordialmente forzuto.
Robur: forza di linfe terrestri cresciute al massimo, in visibilità, in aggressività di verzure. E poi folle di erbe, nubi e acque – il trapasso perlato delle acque, la loro stasi sognante, argentee arterie, fini tendini, polpa d’ombre e di muschi nel seno del mondo.
Un corpo già, una figura preumana?
E uccelli e animali consci delle loro novità; piumaggi, pellicce, occhi che s’avvivano di desiderio. E sopra, la calma totale, l’ultima e più eccelsa manifestazione, l’effusione del divino, il salto qualitativo: il cielo, che ha tutto per sè il suo azzurro eppure lo riverbera su tutto. Infine l’uomo: qui, non altrove. Nel suo luogo, tra i richiami della “innumerevole famiglia” già accennato da tutta la realtà e accolto poi nel folto nido, nella casa immensa, frequentata, stillante“.
(Fonte: Rossella Tramet).
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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