Ieri sera la città di Pieve di Soligo ha accolto un nome del panorama calcistico che, di certo, non ha bisogno di molte presentazioni: Franco Baresi, ex calciatore (difensore) e leggendario capitano del Milan (per 15 anni), ha fatto il proprio ingresso al Teatro Careni, ospite d’eccezione della rassegna “Pieve incontra”, ideata e condotta dalla giornalista Adriana Rasera.


Considerato uno dei giocatori più forti della storia, sicuramente è stato tra i calciatori più rappresentativi della storia rossonera, alla luce delle sue venti stagioni con la maglia del Milan, dal 1977 al 1997.
Ma deve essere ricordata anche la sua presenza in nazionale (ben 81 le sue presenze), dove ha avuto anche il ruolo di centrocampista e di capitano. Nazionale con cui divenne campione del mondo nel 1982.
Il suo esordio in serie A avvenne da giovanissimo, a soli 17 anni, mentre nel 1989 sfiorò il pallone d’oro, secondo al suo compagno di squadra Marco Van Basten.
Oggi è dirigente sportivo, ma sicuramente nessuno potrà dimenticare come, indossando la maglia rossonera, vinse sei scudetti, tre Coppe dei Campioni, due Coppe intercontinentali, due Supercoppe Uefa e quattro Supercoppe italiane.
Baresi si racconta
“Ho trasformato la rabbia in determinazione, ma ho anche incontrato le persone giuste”: con queste parole Baresi ha iniziato a raccontarsi, di fronte a un teatro gremito e dopo i saluti istituzionali del sindaco della città, Stefano Soldan, presente con la sua giunta.
“Per me il Milan è stato una seconda casa, una seconda famiglia e un’ancora di salvezza – ha raccontato – Quando si arriva a un certo livello non bisogna mai dimenticare chi ti ha sostenuto e capito. Mai avrei pensato di diventare ciò che sono diventato”.
Alle giovani promesse presenti in sala e, in generale, ai giovani, Baresi ha consigliato di non demoralizzarsi mai, perché “ci può essere sempre un’opportunità” e bisogna “pensare che c’è sempre qualcosa davanti”.


Baresi ha citato la figura di Gianni Rivera, che ha ricordato come “attento al giovane e al meno giovane, e a chi gioca meno”.
L’ex calciatore ha quindi citato i tempi in cui divenne capitano a soli 22 anni: “Vedo il leader come una persona semplice e vera – ha dichiarato – Cercavo sempre, con il comportamento, di dare l’esempio. L’unità di intenti è fondamentale”.
Successivamente, Baresi ha ricordato i vari momenti vissuti in quegli anni calcistici nella squadra del Milan.
“Gli allenatori non si arrabbiavano con me, perché capivano che potevano avere il massimo da me – ha spiegato – Ho avuto la fortuna di giocare con un gruppo di italiani per 10-12 anni. Poi quando arrivavano i giocatori stranieri, capivano la filosofia che c’era nell’ambiente del Milan e come si lavorava. Con tanti compagni di squadra mi sento ancora oggi”.
Non è mancato neppure un ricordo riguardante l’ex presidente del Milan, Silvio Berlusconi.
“Silvio Berlusconi era capace di trasmettere le sue competenze e portava una ventata di ottimismo – ha raccontato – L’anno in cui ho concluso la mia carriera calcistica, mi ha fatto tanti regali: è stata tolta la maglia numero 6 (la mia) e all’ultima partita mi è stato consegnato il pallone d’oro, che non avevo mai vinto, ma questo non mi è pesato”.
“Sono riconoscente al Milan, perché ha dato un senso alla mia vita e la cosa più bella è l’affetto che rimane nelle persone, dopo 30 anni che ho smesso di giocare”, ha aggiunto.
Baresi ha poi ammesso quanto il calcio sia oggi cambiato rispetto al passato. “Ci sono molti più interessi e il calcio si è fatto più fisico e meno passionale. La differenza con il passato si sente anche alle telecronache”, ha affermato, aggiungendo poi: “I valori fondamentali sono le cose che rimangono, ovvero gli amici e la famiglia. Tutto il resto va a finire”, ha detto.
“Personalmente sono innamorato del calcio degli anni Settanta-Ottanta, perché c’erano giocatori top che trasmettevano qualcosa di più. Certe finali sembrano delle amichevoli”, ha affermato, ricordando poi la figura del fratello Giuseppe, calciatore nell’Inter.
L’ex capitano ha quindi spiegato l’emozione che si prova nel giocare in nazionale, perché “rappresenti un Paese” e “vestire la maglia azzurra è l’obiettivo di ogni calciatore”.
Tanti i ricordi citati dal campione, come l’incontro con i tre papi, oppure le partite contro Maradona (“a volte non mi faceva dormire l’idea di doverlo affrontare”).


Un racconto di vita fatto senza dimenticare di dare consigli per coltivare il talento dei giovani.
“I giovani giocano per passione e con entusiasmo, ma chi li circonda deve essere capace di alimentare questa passione – ha chiarito – Lo sport aiuta, perché è un veicolo importantissimo, ma può essere crudele: bisogna saper prendere le cose nel modo giusto”.
(Autore: Arianna Ceschin)
(Foto: Arianna Ceschin)
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