“Si distribuisce la ricchezza dopo averla prodotta, no interventi a pioggia”, Cagnoli critico sull’azione di governo

 

Per capire meglio l’impatto dell’emergenza Coronavirus sull’economia, Qdpnews.it ha voluto sentire il parere di Giovanni Cagnoli, presidente e azionista di Carisma spa.

Cagnoli è fondatore e Ceo (Chief Executive Officer-amministratore delegato) di Bain & Company Italia fino al 2017. Si è occupato dello sviluppo delle strategie e della ristrutturazione, sia interna che esterna, di aziende private e pubbliche oltre a primari gruppi bancari e finanziari italiani.

È stato particolarmente attivo nello sviluppo e nella definizione di piani di turnaround (ristrutturazione aziendale) e di creazione di valore per gli azionisti di grandi organizzazioni e per primarie famiglie industriali italiane.

Ha inoltre ottenuto un Mba (Master in Business Administration) alla Sloan School of Management, al M.I.T di Boston e si è laureato in Business Administration all’Università Bocconi di Milano.

Non c’è un piano reale e concreto – ha spiegato Cagnoli – nel senso che il governo sta attuando una politica redistributiva a pioggia, quindi sta dando soldi un po’a tutti, privati anche in parte aziende ma meno, dimenticando che la redistribuzione della ricchezza può avvenire solo dopo che la ricchezza è stata creata. Quindi qui si sta perdendo di vista, proprio per la cultura del governo a mio avviso un po’ statalista e un po’ accentratrice, il fatto che le aziende devono ricominciare a lavorare e a produrre ricchezza. Credo che ci sia stata una risposta, per esempio il Veneto è sicuramente la Regione che ha gestito meglio l’emergenza sanitaria che sembra sostanzialmente stia finendo in termini emergenziali, che non vuol dire che è sparito il virus, che resterà con noi per un anno o forse più, però adesso bisogna cominciare a lavorare e produrre e il governo, invece, pensa solo a redistribuire soldi che non sono altro che tasse di chi lavora e produce e che non viene messo in condizione di lavorare e produrre”.

“Quindi io vedo un disastro che sta arrivando veramente molto grande – prosegue – È una crisi asimmetrica e posso fare due esempi opposti: se prendiamo in considerazione un’azienda farmaceutica o che produce beni alimentari per la grande distribuzione, possono essere pasta piuttosto che conserve, questo è un anno splendido perché un’azienda farmaceutica tipicamente vende di più perché c’è maggiore attenzione alla salute e tutti continuano a mangiare, quindi compriamo beni alimentari al supermercato, all’opposto se consideriamo un’azienda che opera nel turismo o che è legata agli aspetti del turismo e della ristorazione è una tragedia di proporzioni incommensurabili. Io sostengo che la crisi è asimmetrica: quindi ci sono aziende, piccole, medie e grandi molto colpite e aziende invece che non hanno praticamente alcun impatto”.

“Quello che vedo – precisa il presidente di Carisma spa – è che non si capisce ancora una volta da parte del governo che tutto il settore del turismo, della ristorazione e le filiere legate al turismo e alla ristorazione, che sono tante, sono distrutte. Se continuano a fare provvedimenti, ultimo quello del distanziamento di due metri al ristorante, piuttosto che 10 metri per gli ombrelloni, vuol dire non capire minimamente come funzionano queste aziende. I due metri di distanza dei tavoli vogliono dire impedire praticamente alla maggior parte, almeno al 60-70% delle aziende, di riaprire in termini economici”.

“Quindi – aggiunge – non c’è la consapevolezza e stanno segando l’albero su cui sono seduti perché queste sono le aziende che pagano le tasse, che rendono possibili le pensioni e il pubblico impiego, che non è minimamente colpito dalla crisi, e se queste aziende non lavorano prima o poi noi avremo un grossissimo problema di sostenibilità del debito pubblico che è l’enorme problema che andremo ad affrontare, secondo me, nella seconda parte dell’anno e nel 2021. Poiché questi soldi delle imprese non arriveranno allo Stato in maniera massiccia abbiamo due alternative: uno continuare a fare debiti finché la Banca Centrale Europea continua a comprare i nostri titoli di Stato, ma prima o poi i debiti sono da restituire, e ricordo che i debiti dello Stato non sono altro che anticipazioni di tasse future che le imprese dovranno comunque pagare, quindi è solo rimandare il problema”.

“Quando parliamo di tagli alla spesa pubblica che sarebbero doverosi e necessari – continua -, io credo che sia da trent’anni che diciamo che dobbiamo fare tagli alla spesa pubblica doverosi e necessari ma non vengono mai fatti, perché c’è sempre la politica redistributiva di gran parte dei governi che si sono succeduti che dicono diamo soldi, dal reddito di cittadinanza anche “Quota 100”: tutti provvedimenti redistributivi. Ma senza questi soldi che adesso non arrivano più, prima o poi si va verso una situazione esplosiva perché, quando la Bce non comprerà abbastanza titoli di Stato, noi andremo in default e il default è drammatico. Ma si preferisce rimandare il problema facendo finta che non esista quando è conclamato, piuttosto che affrontarlo: affrontarlo vuol dire lacrime, sudore e sangue, anche nella spesa pubblica, e questo i governi non lo fanno perché è impopolare”.

“Saranno costretti a farlo tra non molto – aggiunge Cagnoli – Io credo che di errori ne siano stati fatti giustificatamente parecchi, perché questo è un virus sconosciuto e, quindi, anche da un punto di vista clinico era difficile gestire una “bestia sconosciuta”. Però adesso invece lo conosciamo e sappiamo perfettamente che il 60% dei decessi è legato a persone oltre gli 80 anni, quindi credo che il governatore Zaia abbia fatto e stia facendo un’opera straordinaria e positiva in cui cerca di proteggere queste persone in molte case di cura dove il virus non è entrato e questa è la cosa che io sostenevo dall’inizio si dovesse fare: cioè cercare di isolare, a differenza di quello che purtroppo è successo in Lombardia, le persone anziane dal virus il più possibile, proteggere gli anziani, e invece dare molta maggiore libertà, anche economica, alle persone sotto i 65 anni dove praticamente in tutto il mondo i decessi sono minimi e legati in gran parte a situazioni di comorbilità pregresse”.

“Quindi – prosegue – io parto da due presupposti che ho sempre detto: primo il rischio zero non esiste, questa cosa resterà con noi per almeno un anno e quindi bisogna gestire il rischio e non eliminarlo. La fantasia del voler andare a zero contagi è una fantasia ridicola. Secondo: siccome il rischio zero non esiste ed è, invece, un rischio ahimè piuttosto elevato sugli anziani o i molto anziani bisogna proteggerli facendo tamponi, verifiche continue, con gli isolamenti anche di queste persone e, a mio avviso, lasciando ai ristoranti i tavoli che siano a un metro e venti o quello che sia con le mascherine per cercare di gestire il rischio. Perché se io ho 45 anni e c’è una gestione adeguata, come in Veneto e per merito della vostra amministrazione dello screening, può funzionare benissimo”.

“I prossimi bollettini – aggiunge – non saranno bollettini ma saranno aziende che chiudono e persone che hanno perso il loro lavoro, l’attività che avevano costruito magari in 20-30 anni senza speranza di ricostruirla. Quindi io dicevo dall’inizio che i morti li contiamo adesso, anche con questi bollettini che io chiamo un po’ terrorismo sanitario. Poi però, e sono già cominciati, ci sarà qualche suicidio, qualche persona che non ce la fa più, qualche depressione, qualche persona che veramente distrugge il lavoro di una generazione: questi non saranno bollettini perché non vengono conclamati ma sarà la realtà dei fatti. Quello che noi vedremo è che ci saranno intere filiere di persone, e anche qui molto differenziato da Regione a Regione, che saranno sostanzialmente private della possibilità di sostenersi economicamente, quindi non avranno da mangiare”.

“Non saranno più bollettini perché con i bollettini il governo ha fatto un’operazione sostanzialmente di chiusura – conclude – Chiudere è facile, ti terrorizzo: “guarda che si muore stai in lockdown”. Questo lo hanno fatto, giustificatamente per un po’. Adesso i dati dei bollettini, del Veneto per esempio, parlano di 40 persone in terapia intensiva per Covid in tutta la Regione. Ora, con rispetto parlando, a me pare che chiudere le attività economiche quando ci sono probabilmente 300 posti per terapia intensiva liberi nel Veneto, questo credo sia il numero, sia un po’ sbagliato. Poi se anche da 40 diventano 60, una cosa che io temo, è che diranno che il virus sta riaprendo e ancora una volta c’è il virus ma ci sono anche le persone e le persone che lavorano, che sostengono lo Stato e che sostengono la propria famiglia avranno delle conseguenze gravissime. Ripeto, non credo che ci saranno bollettini ma nelle comunità, per strada, si parlerà di quelli che non hanno più il lavoro e saranno una valanga”.

 

(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
(Foto e Video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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