Negli ultimi anni si sta assistendo a un fenomeno molto particolare: la proliferazione incontrollata di persone che pubblicano libri anche se in Italia i lettori fanno fatica a crescere come si vorrebbe.
Sarà perché ognuno di noi sente di avere una storia da raccontare, non accontentandosi più del classico post nei social ma preferendo la carta stampata per la sua innata capacità di “trasportare” il lettore in una dimensione che la tecnologia non è stata ancora in grado di cancellare.
Per poter scrivere bene, però, bisogna anche leggere e spesso c’è chi pensa che la scrittura non abbia bisogno di un confronto continuo con chi di mestiere fa proprio lo scrittore, migliorando il vocabolario personale con termini, espressioni e artifizi linguistici sempre nuovi.
Ne è convinto Fabio Brussi, editore di Antilia Edizioni, che ha voluto fare una riflessione ad ampio raggio partendo da questo argomento fino ad arrivare alla situazione delle case editrici e della lettura dopo la fase più acuta dell’emergenza Covid-19.
Brussi, laureato in Lettere, nel 1993 ha iniziato a lavorare nel mondo dell’editoria con un’esperienza nella casa editrice Lint di Trieste oltre a collaborare con un’altra casa editrice, la Morganti Editori.
Nel 1996 ha fondato la società Edizioni Antilia con il proposito di pubblicare opere di storia, arte e cultura delle Venezia, rimanendo comunque aperto ad altre realtà come atti di convegni, libri e stampati per enti, associazioni, istituti di credito e amministrazioni pubbliche.
“Con la narrativa tutti abbiamo qualcosa da dire – ha spiegato Fabio Brussi – ma pochi sanno come dirlo e questo è un grande limite. Ogni tanto, quando parlo di queste cose, mi piace ricordare un aneddoto di un mio amico e collega editore di Treviso che si occupa quasi solamente di narrativa. Quando le persone vanno da lui per proporgli un’opera, il mio amico fa subito questa domanda: ‘Lei cosa legge?’. Loro spesso rispondono di non avere tempo per leggere proprio perché scrivono. Questa è la chiosa di tutto e non serve aggiungere altro”.
“L’editoria stava cominciando a riprendersi dopo l’ultima crisi quando è arrivato il Covid. – prosegue l’editore di Edizioni Antilia – Questo ha significato la chiusura e la sospensione di ogni progetto e di ogni possibilità di pubblicare, soprattutto di diffondere. Si parla di più di 20 mila titoli non pubblicati in occasione di questa chiusura. Farei una distinzione tra i diversi tipi di editoria (narrativa, saggistica ecc), perché certa editoria ha bisogno di un momento particolare per essere pubblicata. Per semplificare: il libro da leggere sotto l’ombrellone, il libro da leggere a Natale e il libro da leggere in un determinato momento storico”.
“C’è anche un tipo di editoria, come quella che per fortuna sviluppo io, che non è legata sempre a una data precisa, come la saggistica. – continua – Teoricamente la gente ha letto di più durante il lockdown: chiunque ha dei libri a casa non letti e bisogna vedere se c’è la voglia di leggerli e se è il momento giusto per farlo. Secondo me, il lettore che già leggeva prima senz’altro ha letto nuovamente, mentre il lettore che non leggeva non ha iniziato a farlo in questo momento”.
“Purtroppo, alla luce del lockdown, tutti hanno cose da dire in merito alla loro esperienza durante l’isolamento forzato. – aggiunge – Assisteremo infatti al fiorire e alla proliferazione di volumi dedicati e saggi di narrativa su questo tema. Io stesso ho ricevuto già quattro o cinque proposte come diari legati al lockdown o resoconti dell’esperienza vissuta: tutte cose che non hanno grande dignità di pubblicazione”.
Questo fenomeno è stato confermato anche da Flavio Nardi, titolare della libreria “La Pieve” di Pieve di Soligo, che ha affermato: “La mia impressione è che nel mondo del libro, se ci sono stati danni legati alla chiusura e alle difficoltà della gente a muoversi, comunque è rimasta l’importanza della lettura per le persone. Mi ha colpito in modo positivo la grande esigenza di leggere da parte dei ragazzi”.
“Noi abbiamo visto un bellissimo movimento da parte dei giovanissimi e il loro bisogno di cercare i libri e di venire a rovistare nelle librerie, quasi un bisogno fisico. – prosegue Nardi – Ultimamente sono usciti un sacco di libri legati alla pandemia che non si vendono perché la gente non ha molta voglia di sentir parlare di un argomento rispetto al quale sono già subissati da tantissime informazioni. Quindi si preferisce la lettura di evasione e in questo periodo la narrativa, molto di più della saggistica, l’ha fatta da padrone”.
Ma i libri pubblicati secoli fa possono ancora attirare l’attenzione dei lettori distratti e con poco tempo a disposizione?
Anche per questa domanda l’editore Fabio Brussi ha la sua risposta: “Un libro di cinquecento anni fa, se è un vero libro, ha qualcosa da dire anche oggi a distanza di tanti anni”.
(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it