“In questi ultimi cinque anni ho fatto diversi cammini, ognuno dei quali aveva una sua precisa motivazione. Camminare lentamente mi permette di gustare con maggiore intensità i luoghi che attraverso, godere degli incontri e di altri momenti inaspettati che arricchiscono il mio procedere”.
Qdpnews.it – Quotidiano del Piave ha avuto il piacere di incontrare Paolo Manto, ex maestro elementare di Moriago della Battaglia che, una volta raggiunta la pensione, ha deciso di intraprendere dei lunghi viaggi. Il primo che racconteremo oggi è il Cammino Portoghese.
Una forte motivazione
“Per me ogni cammino risponde a un bisogno; lo sento come necessario per trovare delle soluzioni ad un periodo difficile di vita o per mettere un punto fermo nella mia esistenza – ci ha raccontato Paolo Manto -. La motivazione che mi ha spinto a intraprendere il Cammino portoghese è stata quella di voler dare un importante inizio alla mia nuova vita da pensionato. Sono stato infatti maestro elementare nella scuola di Moriago per tantissimi anni e finalmente il 1° settembre, dopo 43 anni di servizio, ho terminato questo importante ruolo nella comunità a cui appartengo.
Anche la scelta del mese non è stata casuale. Ho deciso di iniziare questo cammino a settembre perché per tutti gli anni precedenti, in questo periodo ricominciavano gli impegni scolastici; questa volta invece stavo iniziando una nuova vita, libero da impegni lavorativi e quindi libero di poter gestire il mio tempo. Il 5 settembre quindi partii in aereo alla volta di Lisbona e da lì poi in autobus fino a Fatima, un luogo significativo e a me caro che avevo scelto per iniziare il mio Cammino pellegrino in Portogallo“.
Lo zaino del pellegrino
“Lo zaino del pellegrino è una metafora di vita: devi sgravarti del superfluo, di tutto ciò che ti può appesantire, fisicamente e mentalmente – continua Paolo -. Portare con te solo lo strettamente necessario e fare affidamento sulla tua capacità di adattamento al mutare delle situazioni e, anche in caso di difficoltà, non lasciarti abbattere ma procedere verso la meta.
Nello zaino bastano tre cambi: giacca impermeabile in caso di pioggia, sacco lenzuolo e sacco a pelo per dormire negli “albergues”. Gli albergues non sono alberghi come il nome farebbe pensare, ma ostelli per pellegrini; ad essi si accede solo con la “Credenziale” che è un documento nel quale vengono apposti i timbri che certificano il passaggio del pellegrino e che poi, una volta arrivati a Santiago, permetteranno di ottenere la “Compostela”, l’attestato dell’avvenuto Pellegrinaggio.
Non deve assolutamente mancare un kit di pronto soccorso in caso di dolorose vesciche ai piedi. Ho visto pellegrini coi piedi martoriati da bolle enormi che in qualche caso li hanno costretti ad interrompere il Cammino. Altri pellegrini invece sono arrivati stoicamente e dolorosamente alla meta”.
Dormire negli albergues e camminare da soli “è meglio”
“In ogni cammino che ho fatto ho scelto di dormire per la maggior parte delle volte nelle strutture di accoglienza pubbliche o religiose, decisamente più spartane delle sistemazioni in bed and breakfast o hotel che a volte si trovano lungo il Cammino. Penso che il vero pellegrino non debba cercare le comodità di una stanza privata con lenzuola e bagno, ma si debba adattare anche a dormire a terra se necessario.
Io sono un viaggiatore solitario, mi piace godere della bellezza della natura, scegliere dove e quando fermarmi, svuotare la testa dai pensieri mentre cammino o riflettere sulle mie scelte passate o quelle future.
Da soli si è più aperti a fare nuove conoscenze di altri pellegrini, con qualcuno di essi si possono condividere qualche ora di cammino o intere giornate, lasciarsi per poi ritrovarsi magari più avanti. Si può decidere anche di proseguire per tutto il cammino con dei compagni di viaggio incontrati per caso, ma il caso nel Cammino non esiste, e con loro proseguire fino alla fine condividendo l’esperienza e vissuti personali”.
Inizia il mio Cammino
“Anche questa volta partii da solo, ma il caso volle, come ho detto prima il caso non esiste, che la prima sera nella struttura di accoglienza di Fatima fondata da don Oreste Benzi, conobbi Zoran, un pellegrino croato ma residente in Italia per lavoro, che divenne il mio compagno di viaggio fino a Santiago ma non sarebbe stato il solo.
Il Cammino verso Santiago è segnato con delle frecce gialle o il simbolo della conchiglia; nel cammino portoghese ci sono anche delle frecce blu che vanno però nella direzione opposta, perché indicano la via verso Fatima. Il pellegrinaggio verso Fatima è molto sentito dai portoghesi che ogni anno a migliaia lo percorrono incrociando perciò molti pellegrini che, in senso inverso, si dirigono verso Santiago. Il mio Cammino ha quindi inizio la mattina del 6 settembre da Fatima con Zoran. Questo tratto di cammino è poco frequentato poiché la maggior parte di pellegrini preferisce iniziarlo da Porto a circa 280 km da Santiago.
L’8 settembre dopo tre giorni di cammino tra boschi di eucalipto, attraversando paesini semi abbandonati arrivammo a Coimbra, la prima grande città, dove ci sistemammo in un convento che dava alloggio ai pellegrini. Bisogna dire che solo alcuni albergues permettono la prenotazione, mentre accolgono i pellegrini in ordine di arrivo fino a esaurimento dei posti, in questo caso se non si trova posto bisogna andare a quello successivo a volte distante diversi chilometri. Quel giorno era venerdì, e come al solito, nel pomeriggio, cercammo un alloggio per la notte seguente ma tutte le sistemazioni nel Cammino nel raggio di trenta chilometri erano già state occupate da pellegrini portoghesi diretti verso Fatima. Nel mese di settembre, infatti, un gran numero di fedeli nel fine settimana intraprende il pellegrinaggio verso la città mariana.
Non trovando alloggio negli albergues per pellegrini cercammo su Booking un’altra sistemazione, ma che non fosse troppo cara. Così trovammo una camera in una struttura a Mogofores, un paese a 36 chilometri da Coimbra e ben sei chilometri fuori dal Cammino ufficiale”.
Un’ospitalità incredibile
“Il giorno seguente ci mettemmo presto in cammino, poi come sempre accadeva, Zoran gli ultimi dieci chilometri rallentava e si fermava a rinfrescarsi in qualche bar. Io continuai da solo e, seguendo le indicazioni su Maps, arrivai a Mogofores. Entrato in paese mi recai all’indirizzo indicato ma qui nulla mi dava idea di una struttura di accoglienza, nessuna insegna, anche il numero civico non corrispondeva.
Dall’altro lato della strada vidi un grande cancello oltre il quale si intravedevano un parco e una grande villa. Appena aldilà del cancello una coppia, una donna e un uomo più anziano stavano parlando. Decisi quindi di avvicinarmi per chiedere delle informazioni. Salutai la coppia e in inglese chiesi dove si trovasse la “Casa Flores”.
L’uomo mi salutò a sua volta e vedendo che appeso allo zaino avevo la conchiglia simbolo del Cammino mi chiese: “Pero eres un peregrino de Santiago por qué quiete ir allí? Ma tu sei un pellegrino di Santiago, perché vuoi andare lì?”. Io gli spiegai che non avevo trovato altro posto per la notte. L’uomo mi disse che quello non era un posto adatto a me, perché era una casa di… prostitute! Poi gentilmente mi propose di entrare, e di rimanere da loro per la notte e per la cena, specificando che non avrebbe volto nulla in cambio. Io inizialmente rifiutai cortesemente ma poi vista la sua insistenza accettai, spiegando però che non ero da solo e chiamai Zoran al telefono che fu d’accordo con me.
Varcato il cancello mi trovai in un grande e curato parco-giardino, con una grande piscina, delle scuderie con dei cavalli e un maneggio. La coppia mi condusse in casa, una grande villa di inizio 900. L’interno era un labirinto di corridoi e grandi stanze sature di mobili ed oggetti.
Alle pareti c’erano dischi d’oro e di platino, album discografici in cui compariva l’immagine di quest’uomo certamente più giovane, poi premi, foto di cavalli, molti quadri di stile antico e in una stanza accanto all’ingresso troneggiava un pianoforte. Mentre mi guardavo attorno stupito chiedendomi in quale casa fossi mai entrato, la moglie mi chiese se lo avessi riconosciuto, io risposi di no, così lei mi spiegò che suo marito Josè Cid è un cantante molto famoso in Portogallo e che tuttora tiene degli importanti concerti nei quali riesce a riempire palazzetti e stadi. Josè, compiaciuto delle parole della moglie, intervenne dicendomi che recentemente aveva avuto in classifica di vendita un suo triplo CD del quale è anche il compositore. Ero sempre più stupito e incredulo di essere suo ospite.
Gabriela, la moglie, mi condusse quindi al piano superiore dove mi indicò la mia camera e quella per il mio compagno di pellegrinaggio Zoran. La mia era molto particolare: credo uno stile impero in chiave spagnola. Non mi sembrava vero dopo giorni di dormitorio in letti a castello poter dormire in un letto con lenzuola e senza russatori. Zoran apparteneva alla categoria dei russatori professionisti purtroppo (sigh!).
Dopo una mezz’ora arrivò alla villa anche Zoran e dopo qualche chiacchiera e un po’ di musica ci offrirono il caffè Kopi Luwak. Questo caffè è il più raro e costoso del mondo, e viene prodotto principalmente in Indonesia e Vietnam dove vivono gli zibetti che mangiano, digeriscono e defecano i chicchi di caffè. Questa particolarissima bio-fermentazione naturale restituisce un chicco nuovo, dal sapore particolare e unico, dal gusto molto dolce di cioccolato e caramello e dall’aroma di cioccolato fondente e frutta.
Passammo poi il resto del pomeriggio in piscina a rinfrescarci dalla calura di settembre. Nel mentre Josè telefonava a dei suoi amici raccontando loro in modo divertito del nostro “salvataggio”. La moglie Gabriela Carrascalão, anche lei con una storia particolare, proveniva da una famiglia nobile di Timor Est, un’isola del sud-est asiatico, costretta a fuggire dopo che gran parte dei suoi famigliari erano stati uccisi durante una sanguinosa guerra civile.
Josè e Gabriela erano entrambi sempre molto gentili e disponibili a cercare di soddisfare ogni nostra esigenza. La sera ci portarono a cena in un lussuoso complesso di inizio 900, niente a che vedere con la cena del pellegrino a menù fisso che avevamo mangiato fino a quel momento. Al ristorante le persone che riconoscevano Josè si avvicinavano per un selfie ai quali lui si concedeva sempre con piacere.
Ritornati alla villa, la serata continuò con Josè al pianoforte che suonò e cantò per noi alcuni suoi brani, tra i quali con grande piacere ricordo la sua canzone composta per i pellegrini di Santiago che mi ha dedicato personalmente. Prima di accomiatarci per la notte Josè mi regalò il suo ultimo triplo CD con dedica. Riconoscenti ringraziammo Josè e Gabriela per la loro squisita e generosa ospitalità e ci ritirammo nelle nostre camere.
Al mattino seguente ci alzammo alle 5 e davanti alla porta trovammo una gradita sorpresa, due grandi buste in plastica con dentro: pane, marmellata, frutta, formaggio e tanto altro cibo che ci bastò anche per il giorno seguente. Chiudemmo quindi la porta a chiave alle nostre spalle, varcato il grande cancello e lasciate le chiavi nella buca delle lettere, ci incamminammo al buio per riprendere il nostro Cammino. Eravamo immensamente grati al destino e ancora increduli di quello che ci era accaduto quel giorno.
Durante il cammino succedono cose davvero incredibili e questa lo è stata davvero. È bastato essere un pellegrino sulla via di Santiago per avere una così spontanea e calda accoglienza in una residenza privata di un personaggio così famoso. La sera seguente all’albergue ci chiesero come mai sulla credenziale mancasse il timbro del giorno precedente, così io spiegai dove eravamo stati e questo generò molto stupore perché Josè Cid è ancora un cantante molto famoso e apprezzato in patria”.
Una notte coi “Bombeiros”
“Due sere più tardi non fummo più così fortunati. Non riuscendo a trovare un albergue libero chiedemmo ospitalità in una caserma di pompieri (in portoghese Bombeiros) che ci permisero di dormire sul pavimento della loro palestra assieme ad altre due pellegrine portoghesi dirette verso Fatima. Anche questa, a modo suo, fu un’esperienza molto particolare che, se pur nei disagi del duro parquet e le sirene notturne delle autopompe, ci permise di sperimentare un’altra forma di ospitalità genuina e gratuita”.
Ospite in una Scuola d’infanzia portoghese
“Dopo altri tre giorni di cammino accadde un altro sorprendente incontro. Al mattino era piovuto e camminavo da solo perché Zoran era più indietro di me. Passai davanti ad un edificio che riconobbi subito come una scuola. Sul muro esterno una grande disegno con delle frecce colorate che indicavano 171 km da Fatima e 262 per Santiago. Mi fermai a fare una foto e nel mentre uscì un’insegnante che mi vide e mi invitò ad entrare. Io dapprima rifiutai ma lei insistette spiegandomi che quella era una scuola d’infanzia che offriva ristoro ai pellegrini di passaggio: mi sorpresi molto di questa cosa, così accolsi di buon grado il suo invito ed entrai nell’edificio.
Fui accolto in un salone dove i bambini stavano disegnando: subito l’insegnante li fece disporre su un piccolo palco rialzato, mi chiese cosa volessi e io accettai volentieri un bicchiere d’acqua e un caffè. Chiesi se potessi fare foto e video e con mia grande sorpresa la risposta fu affermativa, che grande differenza con le scuole italiane pensai, dove nemmeno gli insegnanti possono fare delle foto alle attività di classe se non con il consenso dei genitori e dove un estraneo di passaggio non sarebbe mai potuto entrare in una classe.
Quella scuola era abituata ad accogliere i pellegrini di passaggio e li faceva interagire coi suoi piccoli alunni che, in questo modo, conoscevano persone da tutte le parti del mondo e si aprivano a nuovi orizzonti. Una bellissima esperienza a mio parere. Mi ero appena lasciato alle spalle le porte della mia scuola e mi ritrovavo ora di nuovo dentro un’altra scuola a migliaia di chilometri da casa. “La vita mi sorprende sempre”, pensai.
Salutai quindi i bambini che mi guardavano incuriositi, poi la maestra li fece presentare uno ad uno, alcuni avevano solo tre anni. Poi anche io a mia volta mi presentai e risposi a tutte le domande che i piccoli mi posero. Parlai anche con la maestra e ci confrontammo sulle differenze tra la scuola portoghese e quella italiana. Dopo alcuni canti di benvenuto, la maestra chiese ad una bambina di nome Nicole di mettere il timbro sulla mia credenziale e la sua firma in stampatello: questo è il timbro al quale tengo di più.
Era già passata più di un’ora quando salutai i bambini e ripresi il mio cammino felice di questo nuovo e meraviglioso incontro, sempre più convinto che il cammino ha il grande potere di riservare straordinarie occasioni di incontro e di riflessione“.
Il gruppo si allarga
“Nei giorni seguenti, in un ostello, Zoran e io incontrammo alcuni pellegrini italiani di varie provenienze, e così spontaneamente si formò un gruppo di 6-7 persone, tra le quali due ragazze. Con questi nuovi compagni di viaggio condividemmo il Cammino fino a Santiago, fatto davvero inusuale per me, camminatore solitario.
Ognuno di questi strampalati pellegrini era portatore di un’esperienza e carattere diversi, alcuni simpaticamente lamentosi: “Ho perso una gamba… la spalla mi ha abbandonato…”; altri sempre pessimisti: “Pioverà di sicuro!”; altri ancora ingenui sognatori: “Cambiamo la società e vogliamoci tutti bene”; oppure sull’orlo dell’alcolismo: “Io mi fermo per una birra o due, forse tre… quattro?”. Ed io, che non avendo ancora del tutto smesso i panni del buon maestro, facevo da guida e definivo l’itinerario: “Domani faremo solo trenta chilometri, siete contenti?”. Durante i giorni seguenti avremmo avuto modo e tempo per conoscerci meglio ed apprezzarci, pur nelle nostre differenze.
Il 22 settembre, dopo 17 giorni e 570 km, arrivammo la mattina presto a Santiago nella piazza della cattedrale che a quell’ora era ancora quasi deserta. Eravamo tutti soddisfatti e commossi di essere arrivati finalmente a Santiago. Eravamo anche consapevoli che non è importante la meta, quanto tutto quello che succede durante il Cammino, che può essere di gran lunga più importante del traguardo”.
Conclusioni
“Questo cammino è stato diverso dagli altri anche per questo motivo, non l’ho affrontato da solo ma con dei compagni di viaggio che il destino mi ha fatto incontrare, segno che in me un cambiamento in questi anni era avvenuto.
Ogni cammino, lungo o corto che sia, inizia con il primo passo fuori dalla soglia di casa. Lasciare le confortanti abitudini, aprirsi a nuovi stimoli, rischiare anche, mi ha permesso di misurarmi con i miei limiti, di conoscermi più profondamente scoprendo aspetti di me e risorse che non pensavo di possedere.
La vita, anche se si presenta con dei momenti difficili e faticosi, va vissuta così com’è, come ogni giorno si apre davanti a noi. La vita sa sorprenderci sempre e offre piccole e grandi meraviglie a chi le vuole cogliere”.
(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata – Paolo Manto)
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