Un grande sogno, per invertire una tendenza che purtroppo non consente di valorizzare al meglio il talento e l’ingegno italiani: formare “cervelli” straordinari che poi restino a vivere e lavorare nelle aziende italiane, in Italia, consentendo al nostro Paese di colmare il gap tecnologico con altri Stati, specialmente nell’ambito dell’intelligenza artificiale.
Nasce da questo profondo desiderio l’intuizione di Michele Sangion, imprenditore, divulgatore e innovatore proprio nel campo dell’IA, di fondare AION, triennio universitario e hub tecnologico. Il tutto all’interno di un innovativo polo formativo da 20mila metri quadri nel cuore della provincia di Pordenone.
Ci può spiegare meglio di cosa si tratta?
“La mia idea, vista l’esperienza che ho maturato anche nella gestione di aziende startup innovative, era quella di fare qualcosa che potesse fornire, all’interno di un polo formativo di questo tipo, servizi come la possibilità di brandizzare e di brevettare gli algoritmi e tutta la parte di marketing, cross marketing, eco marketing, settori che sono fondamentali per un’azienda. Oltre al supporto legale e amministrativo contabile che le aziende nuove, startup innovative, non hanno”.
“Quindi l’idea inziale era quella di creare da una parte un hub, un polo che desse questo supporto alle tantissimi aziende innovative che noi abbiamo qui nel Triveneto, e dall’altra poi concentrarmi sulla tecnologia d’intelligenza artificiale. Parlavo di intelligenza artificiale appunto 12-14 anni fa quando era un mistero, ma ho capito che sarebbe entrata nelle case di tutti, non solo in Europa, ma soprattutto nelle case degli italiani e dei giovani. Quindi ho compreso che dovevamo creare qualcosa che potesse aiutare e supportare gli studenti universitari e non solo, anche le scuole secondarie, nell’utilizzo delle applicazioni, in modo che – dal gommista alla fioreria, passando per un semplice negoziante oppure una multinazionale – ci fosse la possibilità di poter assumere i nostri giovani (persone capaci così di poter utilizzare le tecnologie senza essere laureati in ingegneria), invece di farli andare all’estero. Oggi basta poco, un percorso formativo, per far sì che un dipendente di un’azienda possa utilizzare i pannelli ed essere così competitivi sul mercato”.
Quali obiettivi si prefigge dunque per il futuro?
“Far sì, anzitutto, che la nostra università, una struttura veramente mastodontica in provincia di Pordenone, possa crescere e svilupparsi nella giusta direzione. Abbiamo individuato questa struttura perché ci dà la possibilità di avere 81 aule e 18 laboratori, oltre che una palestra interattiva importante e una zona mensa per oltre 350 studenti. Ma la struttura riesce a gestire, con le sue 81 aule, oltre 1200 studenti fra università e secondarie, senza contare appunto, come vi ho detto, l’Università della Terza età. Perché non possiamo escludere i nostri cari anziani da quello che è il mondo dell’intelligenza artificiale”.
“L’obiettivo è dunque quello di ampliarla, di creare un modello che sia assolutamente replicabile anche in altre province, in altre regioni, perché oggi io credo che sia fondamentale, come quando sono nati gli istituti professionali come IPS e Kennedy (per quanto riguarda le superiori), creare professionisti, giovani professionisti formati sulle tecnologie dell’intelligenza artificiale”.
Ma quali sono, ad oggi, i rischi più grandi nell’impiego di questa tecnologia e quali invece le opportunità?
“Credo senza ombra di dubbio che, entro il 2030, ogni azienda, dalla PMI alle grosse industrie, dovrà utilizzare tecnologia di AI. In Italia, per contro, non siamo di certo gli ultimi arrivati, anzi i nostri ingegneri e programmatori, se pensiamo a San Francisco oppure ad Austin in Texas, sono molto richiesti, non solo in America, ma in tutta Europa. L’Italia, come capacità creativa dei nostri ragazzi, è sempre stata riconosciuta, sia per il problem solving, sia per le capacità di creare innovazione”.
“Qual è il bene e il male della tecnologia? Che se io non la utilizzo nella mia azienda non sono più competitivo. La seconda cosa importante, a proposito di rischi dell’intelligenza artificiale, riguarda i nostri ragazzi: quelli che oggi alle superiori si fanno fare il tema o si fanno fare la ricerca o si fanno fare il testo dalle AI. E questo è sicuramente un problema che si sta tentando di risolvere a livello mondiale, specialmente al giorno d’oggi per quanto riguarda le implicazioni etiche e deontologiche dell’AI. L’obiettivo è far sì che ci sia un sistema di sicurezza così che i nostri ragazzi utilizzino la loro testa, non la testa dell’intelligenza artificiale, altrimenti poi fra dieci anni avremo un esercito di ‘zombie’ che non saranno capaci di creare e questo è un grandissimo problema”.
“Ecco perché nasce la scuola, per far sì che, assieme alla possibilità di fare il triennio universitario, ovviamente riconosciuto dal Ministero come percorso formativo sulle tecnologie di intelligenza artificiale, si dia anche ai nostri ragazzi che fanno le superiori, quindi la secondaria, l’opportunità di poter utilizzare le applicazioni per poter avere subito un posto di lavoro, ma soprattutto saper utilizzare questa tecnologia, che ormai non possiamo fare a meno di usare. Non è possibile tornare indietro e fare resistenza al cambiamento: è come, non so, le ferrovie 200 anni fa, 150 anni fa. Oggi noi non possiamo dire: ‘No, io continuo ad andare a cavallo anche se c’è la ferrovia’. Oggi, come ho già detto, un’azienda o la utilizza o prima o poi dovrà capire che dovrà chiudere. Utilizziamo dunque questo ‘problema’ come opportunità, imparando, addestrando, formando e guidando i nostri ragazzi all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Per loro e per le attività produttive e lavorative che oggi, nel nostro contesto del Nordest, ne hanno necessità assoluta. Ricordo infine che, su dieci adolescenti, otto oggi utilizzano chatGPT. Ma la percentuale che ci dà oggi Microsoft è che solo il 2% di questi ragazzi sa utilizzarla per strumenti efficaci e questo è un problema, Ma , come dicevo, un problema che per noi è un’opportunità, tanto è vero che l’università è aperta anche a corsi brevi e quindi ai dipendenti delle aziende e anche la Terza età. Pochi ci pensano, ma le persone sopra i 60, 65 anni rischiano di essere esclusi dall’intelligenza artificiale. Invece no! Devono sapere come utilizzarla, quindi abbiamo pensato di fare anche un percorso serale per la Terza età, dando quindi la possibilità anche ai nostri cari nonni di saper utilizzare queste tecnologie”.
(Autore: Alessandro Lanza)
(Video e foto: Simone Masetto)
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